Il Cigno nero - Black Swan: la recensione di Alessia Carmicino
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Il Cigno nero – Black Swan: la recensione di Alessia Carmicino

Il Cigno nero – Black Swan: la recensione di Alessia Carmicino

“I had the craziest dream last night about a girl who has turned into a swan, but her prince falls for the wrong girl and she kills herself. ” ( Nina )

Bene e male , bianco e nero : la lotta tutta interiore fra purezza e oscurità è un pasto succulento del quale il grande schermo è abituato a nutrirsi ma che raramente ha dimostrato di possedere una fame pari a quella di ” Black Swan ” .
Sovraccaricare il pubblico di grande impegno fisico e mentale sembra una missione per Darren Aronofsky , che nel tracciare complesse ragnatele narrative ( tratto felice che condivide con il qui amatissimo Christopher Nolan ) tiene sempre il piede sull’acceleratore finendo a volte per precipitare ( la sottoscritta si chiede ancora quale fosse il senso del filosofico e presuntuoso ” the fountain ” ) : rischio calcolato anche nel suo ultimo lavoro , che pur portando la firma unica del regista americano riesce però a trovare nell’asfissiante spirale degli eventi una linearità narrativa in continuo crescendo fino all’esplosione finale .
Difficile se non impossibile da classificare in un preciso genere cinematografico , la pellicola regge la sua architettura su pilastri da sempre ritenuti fragilissimi : l’impeccabile riflesso del mondo del balletto fatto di sicurezza e autocontrollo e la crisi delle certezze di un thriller psicologico dove gli specchi si infrangono generando smarrimento e soprattutto umanità .
Non è la prima volta che il rigido mondo della danza classica viene filtrato attraverso la macchina da presa ma non è un segreto che il fenomeno sia non solo assai poco esportabile per un uso mainstream , ma anche difficile da empatizzare per chi non possa dirsi esattamente un esperto . Eppure , ” black swan ” riesce in tutto e per tutto ad essere quello che l’elegante e documentaristico ” the company ” di Robert Altman non era : basta osservazione fredda e distaccata di una disciplina inaccessibile , basta reverenza e rispetto puramente celebrativo perchè una ballerina non è una bella porcellana da esporre ma figura in bilico fra sacrificio e sofferenza , sudore e sangue , che patisce il trauma di un corpo plasmato e trasformato dai troppi movimenti e dalle tante distorsioni , le ossa dei piedi che scricchiolano nelle scarpette quando la musica è troppo alta perchè qualcuno se ne accorga , l’ossessiva ricerca del movimento perfetto in uno specchio che , nella spietata rivalità dell’ambiente , resta il tuo unico amico o forse la tua stessa nemesi .
Una vita per l’arte dunque quella di Nina : per lei , condannata alla prigionia nella sua stanza rosa di bambole e peluche come la ballerina nella scatola del carillon , incapace di provare piacere ed emozioni sotto il peso di una madre possessiva piena di rimpianti che cerca tenerla nell’infanzia , il viaggio verso la scoperta del lato oscuro passa per il tentativo terapeutico ( i consigli del coreografo Thomas con tanto di macchie di Rorschach sulla parete non sembra molto lontani da quelli di uno psicologo ) verso la paranoia e lo sdoppiamento , incidendo le sue cicatrici nella carne e nella mente fino alla mutazione più estrema : l’incarnazione in quella perfomance che non può e non deve rimanere meramente artistica .
Morire per la perfezione di un momento è un compromesso accettabile?
Quando il talento tocca le corde del sublime in modo irripetibile , invece di condannarsi all’anonimato dell’appellativo di “piccola principessa” che viene affibbiato a ogni nuova protégé e all’oblio (profetica è la rimpiazzata prima ballerina di una Winona Ryder che sa bene cosa vuol dire essere dimenticati dal sistema ) , Nina sceglie l’immortalità come l’usignolo della fiaba che per far fiorire la rosa più bella preme nella spina fino a morire del suo canto meraviglioso : un grande prezzo da pagare per saltare nel vuoto e volare via , finalmente libera , dalle catene del tempo in cui sarebbe stata prigioniera per sempre .
Leggera ed eterea , fragile e terrorizzata , inquietante e perfida , Natalie Portman danza in camera divorando lo schermo e governando la messa in scena in modo indiscusso , sulle note dell’immortale lago dei cigni di Čajkovskij ( già prestato al cinema se pur con diversi toni in ” Billy Elliot ” ) chiave di volta di una tensione che , nella battaglia per la supremazia fra cigno bianco e nero , con le sue piume si insinua sotto la pelle per tornare a prudere improvvisamente quando credevi di aver dimenticato un film che difficilmente potrà mai esserlo .

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