Il Cigno nero - Black Swan: la recensione di Stefano Pariani
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Il Cigno nero – Black Swan: la recensione di Stefano Pariani

Il Cigno nero – Black Swan: la recensione di Stefano Pariani

Il competitivo mondo della danza classica non ha mai messo radici al cinema; dal lontano “Scarpette rosse” ad oggi non si contano molti film sul balletto e pochi sono quelli memorabili (“Due vite, una svolta” tra questi). Ora calzamaglia e tutù tornano sul grande schermo con un intenso psico-dramma a tinte dark. Nina (Natalie Portman), ballerina del New York City Ballet, è misurata, eterea, classica; la sua bravura è frutto di tanta tenacia e di tecnica. E’ perfetta per interpretare il cigno bianco nel “Lago dei cigni”, ma fatica a trovare dentro si sè il lato oscuro e più passionale per interpretare il cigno nero. Vive con la madre (Barbara Hershey), ex ballerina, con la quale ha un rapporto di dipendenza che la esclude dal mondo esterno, dalla vita e dalla dimensione sessuale. Nel corpo di ballo c’è anche Lily (Mila Kunis), che è l’esatto opposto di Nina: è moderna, sessualmente disinibita, tatuata e arriva alle prove con le cuffie alle orecchie, masticando chewing gum. La si direbbe pronta per un provino stile “Flashdance” piuttosto che ad estenuanti prove sulle punte dei piedi, ma la ragazza è talentuosa e ha quella scioltezza che manca a Nina per interpretare il cigno nero. Nina comincia a vedere in lei la rivale e a sentire vacillante il suo ruolo: non vuole essere soppiantata da un’altra ora che proprio lei ha preso il posto dell’ex prima ballerina (Winona Ryder). Il cigno bianco e il cigno nero, la purezza e la carnalità, si scontrano fino a diventare l’uno speculare all’altro tra tensioni, rivalità ed incubi. Lo stile di Darren Aronofsky è stridente e disturbante come il graffio delle unghie sulla lavagna: piedi martoriati, tagli aperti, dolorosi graffi alle spalle, occhi iniettati di sangue e specchi che riflettono volti di altre donne. Nina passa attraverso tutto questo e oltre, scopre la propria sessualità repressa (vedi la scena della madre castrante che taglia violentemente le unghie alla figlia) in una rovente scena lesbo con la rivale e approda a trovare il cigno nero dentro di sè. Piume scure ricoprono le sue braccia leggiadre e la sua anima. Il sogno finalmente si è realizzato, ma a prezzo della vita stessa: il cigno nero ha vinto. Aronofsky ritrova quella narrazione disperata e ai limiti di “Requiem for a dream” (che resta comunque un pugno nello stomaco insuperato) con personaggi disturbati e un clima allucinato e claustrofobico con venature horror. Natalie Portman ha qui forse il ruolo più bello e impegnativo della sua carriera fino ad ora: insicura e delicata, quanto delirante e spaventosa. Dopo il Golden Globe, l’Oscar potrebbe averlo già in tasca. Piace ritrovare Barbara Hershey, che si vorrebbe vedere più spesso, e Winona Ryder, ormai confinata in piccoli ruoli. Cinque nomination agli Oscar tra cui miglior film e miglior regia.

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