Il collezionista di carte: la recensione di loland10
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Il collezionista di carte: la recensione di loland10

Il collezionista di carte: la recensione di loland10

“Il collezionista di carte” (The Card Counter, 2021) è il ventunesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore del Michigan Paul Schrader.
‘Niente mele marce il problema è la cesta’.
‘Come mai tu e io insieme?’
‘Punta poco che perdi poco’.
Il ‘fuori-onda’ che ingombra e spiega, lima e scurisce, avvicina e scudo di un teatro tetro, asettico, inerme, sfocato, contorto e piattamente afono. Un film dove le voci appaiono distaccate e conclusive; dove ogni piccolo gesto rimane quadro di una ripresa ferma, decisa e sottrattiva. Un luogo di tavoli e un luogo da dormire, coperto, da lenzuola bianche, puro, per una notte. Il movimento filmico non segue la stanza d’albergo (‘una camera per una notte’, ’56 dollari’, ‘pago subito’, ‘stanza 101’) ma ne prende lo spazio inclusivo per un tavolo d’ appunti scritti a mano, Non si vede un pc ma una penna stilografica e un quaderno a righe delimitato da linee verticali come chiuso, confinato, in una galera perenne, in uno statuario modo, con uno sguardo poco partecipe e con un grigiore intenso..
William Tell (mai nome corrosivo e indicativo) scrive a mano con una ‘dolce’ incrinatura verso destra. Appunti di ‘bordo-casinò’ di ‘vita salutare’, di ‘girovago’ di carte di numeri, di puntate e di bevute (i nomi alcolici li conosciamo tutti); in ogni lastrico gioco una puntata ultima e minima. Perdi poco e vai via. Vinci poco e vai via. Anche nel molto.
Cirk (con la ‘C’) domanda: ‘Tu vivi qui?’. Appena vede una delle sue stanze dormitorio in giro per gli States non crede ai propri occhi. Ma è lo sguardo interiore, il fuoco vivo che rende in bilico ogni loro discorso (uguale, semplice, normale per un programma ‘fuori di testa’). E perché mai si sono incontrati in piena notte? Per un resoconto finale. Una vendetta. Ciò che del passato non si dimentica. Ma Cirk non sa nulla di William. Proprio nulla. Un incontro fortuito e un ritrovo fortuito. Due camere d’albergo si incontrano. Cirk cerca vendetta, ha già un piano preciso. William cerca le ragioni ma vuole dissuaderlo: riesce a portarlo nel suo giro. Ma serpeggia sempre la monotonia e la noia.
‘Ti piace questa vita?’, ‘Sì. ma è sempre uguale’; non succede nulla, proprio nulla.
La noia, la piattezza, la finta calma, la nebbia visiva tra miriadi di colori, il tifo ad personam per men-Usa, sono paradigmi di un mondo senza nulla addosso, nudo, asettico, invernale, solitario e ameno. Ma dentro ogni viso, ogni camera, ogni incontro è ‘pieno’ di tutto. Esplosione continua. L’assenza fuori è presenza forte. Neanche un’impronta vuole lasciare il giocatore, neanche un segnale. Ma il trio ha qualcosa di inesplorato. Dalle vincite, ai drink, dalle puntate al rosso sangue.
Nel molto giocare, il girovago Tell incontra ‘La Linda’: si alza il tiro. Il gioco alza la posta e anche la vendetta alza il tiro del suo pensare.
Tell e Cirk uno per andare a letto con Linda e l’altro per andare a incontrare sua madre. Nel culmine di una partita a poker, il ‘collezionista’ lascia il tavolo (‘scusate’) e il video messaggio rivela l’intenzione del ragazzo. Il maggiore John Gordo, la sua casa e l’intervento della polizia: il sangue arriva. Tell ha l’incontro definitivo che non avrebbe voluto. Una telefonata e il carcere diventa la sua camera.
Nelle due dita (finali) appoggiate sul divisorio nella stanza delle visite, banalmente arriva il segno di una redenzione vana, di un affetto lontano e di una vita inespressa. Entrambi volevano volare in alto: nella posta in gioco e nella vendetta definitiva.
Il film dei vuoti a perdere dove ogni inquadratura e ogni minimo movimento di ripresa nasconde il fuori onda, i movimenti (f)utili e quel banale andirivieni di una vita dove ‘non succede nulla’.
Un film che cammina sempre sul ciglio del burrone, ad un passo dalla morte, ad un incrocio senza segnali, ad un numero invisibile, ad un’auto senza corsa, ad una colpa nascosta, ad una redenzione continua. Un film dove sai e immagini ma hai paura per quello che potrebbe avvenire. Coprire il mobilio senza farlo vedere. Andare al bagno giusto per farlo. Fare un corridoio per bussare inutilmente. Girare in auto con luci fortissime. Guardare dall’alto le luci stridenti. Il racconto di un virtuale vissuto inutilmente.
Come in tutto il registro dello sceneggiatore Paul Schrader, l’invisibile rende spasmodicamente ansiosa la scena. Anche il bacio e il letto sono sinonimi di gara, di vuoto, di sentire, di puzza, di fetori, di afa, di pelle squarciata, di celle, di urina, di carte unte, di giochi sfiniti e di orgasmi mentali.
Un cinema altamente educativo nel rischio costante; nel gioco assurdo e senza ritorni del Blake jack, del poker e di ogni altro gioco. Il ‘fuori onda’ dei punti e dei numeri sono noiosamente il verso triste della vita.
La produzione, tra gli altri, di Martin Scorsese richiama temi già affrontati (da “Taxi driver” –con Schrader sceneggiatore- a “Casinò”) e la difficoltà nel finire il film indica una ‘diversità’ di linguaggio non sempre accettata e resa visibile. Alcune sequenze sono il contraltare del ‘glamour’ e della ‘leggerezza’: la corsa delle auto, i corridoi, le luci, il muoversi sono modi e temi ricorrenti nelle pellicole del regista. Le riprese dall’alto intimoriscono e manifestano la pelle d’oca degli ambienti: scorrono quasi virtualmente.
Musica di Robert Levon Been e Giancarlo Vulcano: incisiva, sintetica e appropriata; un allarme continuo. Fotografia di Alexander Dynan: notturna e nottambula, offuscata e chiusa, spettrale.
Oscar Isaac (William “Tell” Tillich): postura e recitazione univoci, corposamente fermi. Una prova sativa, integra e mai fluttuante; decisamente ad hoc.
Tiffany Haddish (La Linda): in ruolo di comprimaria, sguardo convincente e decisa.
Tye Sheridan (Cirk Beauford): dal virtuale sognante di ‘Red Player One’ (Spielberg, 2018) al realismo psicologico di Schrader; non si accontenta e prende al balzo occasioni non semplici. Birra e vendetta.
Willem Dafoe (maggiore John Gordo): attore di lungo corso e con poche battute può rubare la scena a chiunque; sempre ruoli complicati e certamente si ricordano.
Regia di Paul Schrader: come sempre rigidamente pieno ma essenziale, poco attraente ma semplicemente bravo e attento ai particolari.
Voto: **** (8/10) -cinema ansiogeno-

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