Per prima cosa devo ammettere che non conoscevo il racconto per ragazzi scritto nel 1982 da Roald Dahl, non lo avevo mai letto fino a pochi giorni fa e fino ad allora per me “Il GGG” suonava come una qualsiasi bambinata stucchevole alla maniera del Dr. Seuss.
Ho scoperto invece una piccola delizia letteraria che purtroppo nessuna insegnante della mia carriera scolastica aveva portato alla mia attenzione, il breve romanzo dell’autore de “La Fabbrica di Cioccolato” sa parlare alla nostra parte più nobile e ci invita a guardare il mondo attraverso gli occhi di un bambino.
Sembra proprio un intreccio perfetto che a dirigerne l’adattamento cinematografico sia nientemeno che Steven Spielberg con una sceneggiatura sviluppata dalla scrittrice da poco scomparsa Melissa Mathison, la stessa da cui il re Mida di Hollywood trasse “E.T.” nel 1982, proprio l’anno in cui nel Regno Unito usciva il libro de “Il GGG”!
La storia è quella della piccola Sophie, un’orfanella solitaria che una notte vede un gigante passare fuori dalla finestra e questi, vistosi scoperto, la rapisce e la porta nella sua caverna.
La bambina però scopre ben presto di non aver nulla da temere dal suo rapitore, si tratta infatti di un gigante buono e vegetariano, un mattacchione un po’ imbranato e malinconico il cui mestiere è andare a caccia di sogni per poi soffiarli nelle camerette dei bambini mentre essi dormono.
Ma la vita del Grande Gigante Gentile è funestata dalle angherie di altri nove giganti, questi ben più grossi e infantili del protagonista, la cui unica necessità sembra quella di procacciarsi esseri umani da mangiare.
Per liberarsi di loro, la piccola Sophie dovrà saper tirar fuori il coraggio dal suo altissimo nuovo amico e congegnare un piano che coinvolgerà persino la regina Elisabetta in persona!
La trama è quella tipica di un racconto per ragazzi, piena di gag buffe e giochi di parole che il regista ha voluto assolutamente conservare e riportare fedelmente sullo schermo, mentre sceglie di tralasciare ed edulcorare alcuni elementi squisitamente crudeli, tipici dei libri di Dahl, concentrando l’attenzione sul rapporto tra la bambina e il suo nuovo amico gigante.
Più che le evocative invenzioni visive, ciò che sprigiona magia nel film è proprio l’interazione tra questi due personaggi, entrambi solitari e un po’ tristi all’inizio, che piano piano si scontrano e si scoprono senza volersi lasciare mai.
Il GGG è una straordinaria sintesi del tipico personaggio positivo delle favole, è l’adulto buono rimasto bambino dentro che a seconda del momento può assumere il ruolo di guida o di allievo e il trovare questa bambina, con la propria curiosità e determinazione, lo aiuta a trovare il coraggio di affrontare gli altri giganti ed il mondo da cui si è sempre nascosto nonostante le proprie dimensioni.
Se la dodicenne attrice esordiente Ruby Barnhill è una perfetta Sophie, petulante e arrogante ma allo stesso tempo dolce come nel libro, il sorriso sbilenco di Mark Rylance, i cui connotati sono stravolti ma in qualche modo squisitamente amplificati dagli effetti speciali, ci convince in un baleno di aver trovato il giusto interprete per il gigante buono.
E dire che il riservato attore inglese cinquantaseienne, conosciuto soprattutto per la propria carriera teatrale, è diventato famoso e ha vinto il premio Oscar lo scorso anno proprio lavorando con Spielberg ne “Il Ponte delle Spie”; di certo prima non avrebbe mai pensato di dover recitare avvolto nella tuta e nei macchinari della performance capture per dare vita ad un personaggio interamente digitale, ma il risultato è talmente ben riuscito da consegnare un’interpretazione all’altezza di quelle dello specialista Andy Serkis (“Il Signore degli Anelli”, la nuova trilogia de “Il Pianeta delle Scimmie”).
Chissà, forse un giorno a qualche cerimonia di premiazione troveremo la categoria per la migliore performance di una creatura realizzata in computer grafica, se esistesse già stavolta dovrebbe essere premiato proprio Rylance che, almeno nella versione in lingua originale, ci regala anche una irresistibile parlata piena di termini usati a sproposito in un fortissimo accento british.
Ad alcuni spettatori smaliziati “Il GGG” potrà sembrare una storiella noiosetta in cui non succede un granchè, un film minore nella vasta carriera di Spielberg, ma il grande regista oggi settantenne si rivolge ancora una volta alla nostra parte più sensibile e romantica, a quel poco d’infanzia rimasta intrappolata in ognuno di noi, e guarda indietro verso un mondo meno cinico.
Questo film sembra fare il paio con l’ ingiustamente sottovalutato “Le Avventure di Tintin – il Segreto dell’Unicorno”, che nel 2011 esplorava con il tocco magico del regista statunitense l’immaginario francese del fumetto per ragazzi, come con “Il GGG” oggi lo fa per la letteratura inglese per l’infanzia.
Sulle note della colonna sonora dell’immenso John Williams e attraverso la fotografia del fido Jasnuz Kaminski, questo film dà finalmente vita ad una bella favola visiva in cui la meraviglia e divertimento si alternano per deliziare in modo intelligente un pubblico di famiglie.
CI E’ PIACIUTO: la caccia ai sogni, rappresentati come entità colorate e svolazzanti, catturati col retino e catalogati in barattoli di vetro per poi essere destinati al giusto bambino addormentato; non era facile tradurre su pellicola questa parte del libro, Spielberg lo fa giocando con la prospettiva e creando un campo incantato in cui i sogni volano indisturbati.
Inoltre, la scena della colazione a palazzo della regina d’Inghilterra è terribilmente spassosa!
NON CI E’ PIACIUTO: il finale, anche se gradevole, è un po’ troppo frettoloso.
SE VI E’ PIACIUTO: recuperate gli altri film di Spielberg imperniati sull’infanzia, dal capolavoro “E.T. L’Extraterrestre” al nostalgico “Hook – Capitan Uncino”.
UNA CURIOSITA’: durante i vari passaggi di mano da uno studio all’altro dei diritti di sfruttamento cinematografico del romanzo a partire dagli anni ’90, ad un certo punto pareva proprio che il candidato ideale a vestire i panni del gigante buono dovesse essere il compianto Robin Williams: non ce ne voglia l’ottimo Mark Rylance, ma un po’ ci fa commuovere provare ad immaginare come sarebbe stata una sua versione più istrionica e malinconica!
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