Il grande Gatsby: la recensione di Jacopo Landi
telegram

Il grande Gatsby: la recensione di Jacopo Landi

Il grande Gatsby: la recensione di Jacopo Landi

Fatalmente attratto dal guadagno, dalla crescita economica e dall’espansione del lusso, Nick Carraway (Tobey Maguire), giovane rampante, si trasferisce nella primavera del 1922 a New York (Long Island). Diviene così il vicino di casa del misterioso milionario, nonché organizzatore di party da urlo, Jay Gatsby (Leonardo di Caprio).
Nick è anche il cugino della bella e sofisticata Daisy Buchanan (Carey Mulligan), moglie di Tom Buchanan (Joel Edgerton) un ricchissimo ex campione di polo.
Quando Nick viene a conoscenza del passato intercorso tra Daisy e Gatsby, si presta a ospitare un incontro tra i due (dopo cinque anni di distanza). Travolto dal clima ruggente di quegli anni, dai fiumi di alcol e dal tragico epilogo di un amore impossibile, Nick si scoprirà testimone e disgustato osservatore del tramonto del sogno americano.
Baz Luhrmann delude non fortemente ma in maniera forte.
Il regista di notevoli pellicole quali: ‘Romeo+Giulietta’ e ‘Moulin Rouge’ poteva basarsi su due opere, il romanzo dello stesso Fitzgerald e la versione del 1974 scritta da Coppola e interpretata da Redford, che non richiedevano nessuna aggiunta ma anzi un leggero e semplice ammodernamento e contingentamento dei tempi (che sono diversi e più ristretti al cinema). Luhrmann avrebbe potuto e dovuto compiere questa operazione completandola col proprio inimitabile senso estetico e visivo. Purtroppo, com’è intuibile, il regista fallisce.
Il senso di forte impatto visivo permea tutto il film anche se lascia nello spettatore una sensazione di kitsch posticcio piuttosto che di meraviglia. Così che le uniche due scene davvero cariche di pathos risultano essere la festa di Tom e della sua amante (Isla Fisher) nella quale Luhrmann affoga New York nei colori di quest’epoca ruggente e al contempo opprimente. Colori che lasciano intravvedere il finto di questo status quo e di tutto ciò che sarebbe in seguito accaduto. Da lode il tocco del trombettista nero che canta e dipinge la propria città dannata.
Altro plauso per la scena in cui avviene l’incidente. Le note di Jack White e la resa scenica dell’azione sono memorabili anche se l’accompagnamento musicale dura troppo poco.
Per quello che riguarda le note dolenti s’inizia da una generale non comprensione della storia narrata da Fitzgerald che scrive un libro nel quale rende il senso di inadeguatezza, di claustrofobia e di dolore spirituale che permeano quegli anni, nei quali le classi sociali dividono i destini senza possibilità di cambiamento. Questo aspetto era invece ben reso nella versione del ’74. Inoltre in questa trasposizione si sente il pubblico sghignazzare per via di scene che invece avrebbero dovuto far riflettere, facendo trasparire il disagio, l’amore e il desiderio di Gatsby. Personaggio che invece viene reso come un bamboccione impacciato e psicologicamente instabile che non riesce a perseguire il proprio obbiettivo.
Di Caprio stesso, che viene ritoccato per tutta la durata del film, estremizza, come sempre, il proprio personaggio rendendolo irrequieto, quasi psicopatico, quando invece dovrebbe rappresentare l’amore, la sofferenza e la classe. Spiace dirlo ma non c’è corsa tra il ‘Titanic Boy’ e Mister Redford.
In generale il cast è male assemblato.
Carey Mulligan è di una rara bruttezza e insipidità nella recitazione.
Tobey Maguire è quindici anni che propina la stessa faccia, quella di un inebetita pirla (cosa che funzionava quando doveva interpretare Peter Parker).
Joel Edgerton piace e convince anche se delude la scelta del doppiatore che cozza con le intenzioni che il personaggio avrebbe dovuto rendere. Sarebbe occorsa una voce più profonda che non sottolineasse ogni due secondi lo scollamento tra attore e voce.
Continuando, il film paga un errato bilanciamento dei tempi risultando alle volte tremendamente lento e noioso. A questo si aggiunga l’uso maldestro di un soundtrack pieno di potenzialità.
Non mancano numerose citazioni della pellicola pretendente come a esempio la scena del primo incontro tra Nick e Daisy in cui le tende svolazzano dovunque.
Mancano piuttosto, in maniera continuativa, lo stile e la classe della pellicola del 1974.
Insomma Luhrmann avrebbe dovuto, per il bene del progetto mettere delle redini al proprio gusto estetico indirizzandolo e guidandolo, senza lasciare questa libertà incontrollata che si perde troppo spesso nel nulla.
Addirittura viene reso in maniera poco convincente come Gatsby costruisca sulle menzogne il proprio impero e faccia tutto ciò solo per l’amore di una donna. Gatsby non comprende a fondo (anche se ritiene il contrario) la nobiltà che poi segnerà la sua fine.
Di Caprio stanca. Interpreta sempre personaggi al limite della nevrosi, con dei segreti e mentalmente instabili. Ha sempre bisogno di raggiungere il limite della psiche del personaggio ma in questo caso toppa in maniera clamorosa. Dovrebbe darsi una calmata e provare a intraprendere nuove forme di recitazione.
Concludendo, nella sequenza in cui Di Caprio è vestito da soldato è chiaro il riferimento a ‘Romeo+Giulietta’, mentre nella scena finale (quella della piscina) è chiaro il riferimento al Di Caprio di ‘Titanic’.

Peccato, davvero, un doloroso peccato.
Troppi errori perché il risultato potesse essere diverso. Se il pubblico ride a crepapelle durante Gatsby qualcosa non ha funzionato.

Voto: 6 –

Informazioni tecniche:
Genere: Drammatico
Durata: 142 minuti
Produzione: Australia – Usa
Anno: 2013.

Fine
JL

© RIPRODUZIONE RISERVATA