Quarta trasposizione cinematografica del ben noto romanzo di Francis Scott Fitzgerald dopo la più famosa versione con protagonista Mr. Redford (e sceneggiata da Coppola). Chiarito il contesto in cui si sviluppa e prende vita l’opera del regista “Australia-no”, viene inevitabilmente da domandarsi se effettivamente la necessità di un nuovo adattamento fosse veramente così impellente. La risposta al quesito, ovviamente, ce la suggerisce la pellicola stessa: “NO!”
Ma è un altro l’interrogativo su cui si impernia l’intera opera e la cui soluzione ci viene fornita a piccole dosi durante le quasi due ore e mezza di film: “Chi è Gatsby?” Tutti ne parlano, i più abbienti lo invidiano, la gente bene lo ama a tal punto da odiarlo, ma nessuno, alla fine, lo conosce veramente, sa che faccia abbia, o quali segreti nasconda. E che importa? Tanto alle grandiose feste che il “big one” organizza nella sua umile e modesta dimora ci vanno comunque! Magari, poi, non lo riconoscono nemmeno se si ritrovano a sorseggiare sofisticatissimi drink fianco a fianco, però, l’importante è esserci!
La campagna pubblicitaria, che ha eccessivamente accompagnato la pellicola fino al suo tanto atteso debutto nelle sale di tutto il globo, ha fatto della magnificenza visiva e della grandiosità delle scenografie il proprio cavallo da battaglia. Nulla da dire su questo: la prima metà dell’opera altro non è che un continuo susseguirsi di party in pieno stile anni Venti, la tanto amata età del Jazz! Ho detto “Jazz”?! Volevo dire “Rap”! Mossa azzardata quella del regista e, secondo il parere di chi scrive a cui l’originalità di ambientazioni anacronistiche solitamente piace, totalmente fuori luogo: ehi, Baz, “vecchio mio”, hai toppato alla grande (di nuovo)!
Alla fine, di tutto questa maestosità visiva, eccessiva e gonfiata fino a scoppiare, di queste scene così pop e allo stesso tempo barocche, non resta nulla e, anzi, finiscono solo per stancare lo spettatore, che rimane piuttosto freddo e inerme davanti a questa sconfinata vacuità.
Poi, d’improvviso, le feste finiscono, Gatsby si palesa e manifesta le sue più antiche passioni mosse da un profondo sentimento d’amore per la biondissima e innamoratissima Daisy. Piccolo particolare: è spostata con un magnate tanto ricco quanto infedele. Questa è la trama, nulla di più: il solito triangolo amoroso, insomma, che finisce inevitabilmente per annoiare.
Chi ci racconta la storia nelle vesti di un narratore onnisciente e onnipresente è Nick Carraway, forse l’unico uomo che sia riuscito davvero a scavare fino in fondo nell’animo del misterioso Gatsby e che, pertanto, può ritenersi a pieno titolo suo vero amico. Ed è proprio il medico della clinica in cui è ricoverato, schiavo dell’alcool e ormai con i nervi a pezzi, che lo invita a narrare le sue memorie ed esperienze legate al personaggio di Gatsby. Questo è il collante che tiene insieme i frammenti che compongono il film, l’espediente ideato da regista e sceneggiatori, che si reputano geniali, ma che invece non hanno fatto altro che tradire l’opera originale di Fitzgerald.
Se poi pensiamo che i personaggi sarebbero dovuti essere la ciliegina sulla torta di un opera colossale come quella in questione, il fallimento è ancora più grande. Escluso il caro vecchio Tobey, magistrale nell’impersonare la voce narrante del film, amico d’infanzia tra l’altro di Leo (coincidenza?), le performance di un cast da milioni di dollari sono tutt’altro che memorabili. Anche Mr. Di Caprio, con la sua poco originale interpretazione di J.G., si mantiene fedele ai suoi cliché e stereotipi, nulla aggiungendo a quanto già visto nella rappresentazione degli altri personaggi di altre sue opere recenti (di ben altro livello, se mi è concesso). Stesso discorso per Carey Mulligan e Joel Edgerton, rispettivamente Daisy e Tom Buchanan; se volete apprezzare veramente il loro (indiscusso) talento, le pellicole su cui fare riferimento sono altre.
Unica nota positiva, quei pochi stralci dell’opera cartacea dell’autore letterario che, di tanto in tanto, riempiono anche lo schermo e risuonano profonde nel vuoto creato da Luhrmann, conferendo al film un tono più solenne e serioso. A questo punto perché non (ri)leggere il libro invece di assistere impotenti a questo fallimento cinematografico?
VOTO: 2/5
© RIPRODUZIONE RISERVATA