Devono piacere molto le sfide a Baz Luhrmann: dopo aver portato sul grande schermo in chiave moderna la storia più amata di Shakespeare, il regista australiano dirige e produce la quarta trasposizione cinematografica del capolavoro della letteratura americana “Il grande Gatsby”. E lo fa con l’attore che, proprio grazie a “Romeo + Giulietta di William Shakespeare”, contribuì a lanciare nello star system hollywoodiano nell’ormai lontano 1996: Leonardo DiCaprio.
Siamo negli anni venti. Nick Carraway (Tobey Maguire) si trasferisce in una nuova casa appena fuori New York e non ci mette molto ad accorgersi dell’enigmatico vicino di casa. Egli infatti organizza feste ogni fine settimana nella sua immensa residenza. Feste sfrenate che richiamano tutte le personalità importanti della grande città. C’è solo un problema di fondo: nessuno sa chi sia e ha mai visto il famoso padrone di casa. Se ne conosce solo il nome: Jay Gatsby. Solo quando lo stesso Gatsby inviterà Nick alla sua festa i due si conosceranno e a Nick saranno chiare le intenzioni del ricco vicino: Gatsby continua a organizzare feste nella speranza che prima o poi vi partecipi Daisy (Carey Mulligan), il suo amore perduto.
Ancor prima che nella trama, la forza di questa storia sta nel personaggio di Jay Gatsby. Infatti egli non è altro che la metafora del sogno americano: partire da zero, lavorare duro e fare fortuna. Questo dovrebbe rendere felici le persone. Ma l’autore utilizza il personaggio anche per demolire la tesi: nonostante la vastità dei beni materiali, Gatsby si sente continuamente mancare qualcosa e viene ucciso lentamente dalla sua ossessione per Daisy. La morale di questa storia è semplice e chiara: i soldi non danno la felicità.
Come per i suoi altri film, Luhrmann ha realizzato una trasposizione pop e filo-moderna, facendosi aiutare dalle musiche, curate dal rapper Jay-Z, da una fotografia accesa che valorizza i colori (il massimo livello di spettacolarità viene raggiunto nelle scene delle feste) e dando all’intera pellicola un ritmo serrato. Durante le scene delle feste i colori sono così vividi che si ha la sensazione di assistere a una messa in scena piuttosto che a un film vero e proprio. Un errore che va attribuito al regista è stato quello dell’aver voluto girare il film in 3D: infatti questo è inutile se non dannoso dato che riduce la luminosità dello schermo e alcune scene, come quelle che vedono protagonisti Carraway e il suo psicologo, risultano faticose da seguire. Certo, alcune parti si salvano, ma non valgono il prezzo supplementare del biglietto.
Le prove attoriali sono da applausi. Leonardo DiCaprio si riconferma un attore malleabile e la sua performance rasenta la perfezione, come d’altronde ci ha abituati negli ultimi anni. Anche Carey Mulligan promossa a pieni voti, il suo talento è palpabile e l’alchimia con DiCaprio dà una spinta in più al film. Ma la vera sorpresa è Tobey Maguire: dopo averci “ammaliati” con la sua mono-espressività nella trilogia di Spider-Man, Luhrmann ha saputo cucirgli addosso una parte che gli calza a pennello.
Pur essendo stata scritta quasi cento anni fa, questa storia sarebbe potuta essere stata scritta ieri e il film accentua questo fatto. Ciò che viene raccontato è attuale poiché, come ci ha insegnato la storia, la civiltà si evolve, ma le debolezze umane rimangono le stesse.
Il grande Gatsby: la recensione di paulinho
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