Il mio migliore incubo! analizza il conflitto di classe in chiave sentimentale, attraverso l’incontro/scontro tra Agathe (Isabelle Huppert) e Patrick (Benoît Poelvoorde). Lei, donna alto-borghese che dirige una galleria d’arte e convive con un marito che non ama più (André Dussolier) e un figlio non abbastanza intelligente. Lui, uomo rozzo, padre di un ragazzino con il quale vive in un furgone, sbancando il lunario attraverso lavoretti occasionali e dedicandosi a improbabili incontri sessuali con donne prosperose. Due persone completamente agli antipodi che hanno organizzato la propria esistenza – una all’insegna di un perbenismo maniacale, l’altro del caos – in modo tale che niente possa interferire con le loro vite. Quando questo accade, e cioè quando sono costretti a frequentarsi a causa dell’amicizia che lega i loro figli, finiscono per sbarazzarsi delle maschere sociali dietro le quali si sono nascosti fino a quel momento e lentamente si rivelano per quello che realmente sono. In un crescendo di ilarità e comicità.
Inutile girarci intorno, il film di Anne Fontaine è una nuova declinazione del tema della “strana coppia” (non certo nuovo al cinema) che si nutre di clichè e di contrasti. Ma lo fa in modo fresco, intelligente, curando i dialoghi – ogni parola pronunciata dai protagonisti è un passo verso il loro svelamento –, insistendo sulla diversa fisicità di Agathe e Patrick spesso all’origine di gag da slapstick comedy – lei magra e contenuta, lui robusto e prorompente – e affidandosi alla bravura dei due interpreti: Isabelle Huppert e Benoît Poelvoorde funzionano bene sia singolarmente sia in coppia. Sorprendente la performance della prima, qui alle prese con una commedia tout court – per lei insolita – e a suo agio nei panni di un personaggio che la costringe anche a lanciarsi in un numero di lap dance. Poelvoorde conferma, invece, una vis comica innata in un’interpretazione sopra le righe favorita da scambi di battute fulminanti e l’incarnazione di diversi luoghi comuni che, nonostante tutto, sanno sempre strappare una risata (si ride persino con le polpette dell’Ikea).
Sullo sfondo, una velata critica al perbenismo borghese e alla vacuità di un certo intellettualismo contemporaneo – che si respira soprattutto nel mondo dell’editoria e dell’arte – di cui Agathe e il marito sono rappresentanti e testimoni.
Mi piace
La forza dei due protagonisti: la loro caratterizzazione, comicità, alchimia. Merito del talento di Poelvoorde e della Huppert.
Non mi piace
Alcune cadute di ritmo e di stile. Le prime legate alle vicende che riguardano il marito di Agathe/Dussolier, inutili nell’economia del racconto e fin troppo improbabili. Le seconde dovute agli eccessi di volgarità che coinvolgono Patrick/Poelvoorde.
Consigliato a chi
Subisce il fascino della commedia francese di ultima generazione, capace di divertire con intelligenza.
Voto
3/5