Wallace Avery (Colin Firth) è stanco della sua vita: divorziato, perennemente in conflitto con il figlio adolescente, insoddisfatto della relazione sentimentale con la collega di lavoro (che a sua volta lo giudica noioso) ed assillato dalla sindrome del campione fallito. Vive nell’ombra di quello che è stato un tempo: un giocatore amatoriale di golf entrato come una meteora nel mondo del professionismo e uscitone altrettanto velocemente in seguito ad un errore da dilettante che ha mandato in frantumi la sua promettente carriera. Ma Wallace non vuole accontentarsi di un’esistenza triste e vuota: decide così di inscenare la sua morte e ricominciare da zero, con una nuova identità, quella appunto di Arthur Newman, una versione più affascinante e grintosa di se stesso. Lungo il cammino si imbatte per caso in Michaela (Emily Blunt), per gli amici Mike ma all’anagrafe Charlotte, una giovane ragazza in fuga da un passato difficile e un futuro incerto. I due iniziano così un viaggio che li porterà ad intrufolarsi nelle case di sconosciuti e assumere per gioco le identità delle persone che vi abitano, verso una scoperta di se stessi che cambierà per sempre le loro vite.
Dante Ariola, che si è fatto un nome realizzando spot commerciali per grandi multinazionali come Nike, Playstation, Coca Cola e Volkswagen, sceglie per il suo debutto sul grande schermo un tema dai mille sviluppi, ossia il cambio d’identità. La trama presenta numerosi spunti interessanti, quali la necessità di dare un senso alla propria vita, la tentazione di sfuggire alle responsabilità, la difficoltà di reinventare la propria personalità, che lasciano ampio spazio per un’analisi approfondita e convincente, in parte non completamente esplorata dal film. Non sarebbe infatti guastato un sguardo più intimo e meno superficiale sui sentimenti dei personaggi (specialmente del protagonista maschile). Infatti se consideriamo l’evoluzione di Wallace/Arthur non percepiamo un vero e proprio cambiamento della sua personalità, con l’unica, e, non indifferente, eccezione del rapporto con il figlio.
Non è così invece per Mike/Charlotte: Emily Blunt conferisce una vitalità ed un’energia al suo personaggio che favorisce un maggiore impatto sullo spettatore e compensa la titubanza di Wallace/Arthur (scordatevi il Mr Darcy che bacia appassionatamente Bridget Jones o fa a pugni con Hugh Grant, qui prevale il lato più tranquillo e imbranato del British gentleman). Sempre a lei è affidata, in misura maggiore, la componente drammatica del film, una situazione famigliare disastrosa alle spalle e un futuro poco promettente tra la difficoltà di prendersi cura della sorella malata e la scelta di scappare dalle proprie responsabilità, non solo in senso figurato.
A controparte del lato drama, la componente comica è invece garantita da alcune scene azzeccate che strappano sincere risate. Dante Ariola riesce a combinare drama e comedy in modo efficace, ottenendo un buon equilibrio tra i due generi ed evitando bruschi cambi di registro che potrebbero lasciare spiazzato lo spettatore. Una dualità riuscita anche grazie alla complicità tra Colin Firth e Emily Blunt che fanno da ottima controparte l’uno dell’altro, giostrandosi in modo capace tra momenti di spensierata ilarità e drammatica intimità. Pur con qualche lacuna e senza un grande impatto, il debutto alla regia di Dante Ariola promette un viaggio alla scoperta della complessità umana, mostrando, con un sorriso sulle labbra, quanto sia difficile vivere una vita autentica.
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Mi piace
La componente comica del film, la caratterizzazione che Emily Blunt dà al suo personaggio, l’azzeccato uso dell’elemento musicale
Non mi piace
Il personaggio un po’ ingessato e poco carismatico di Colin Firth, il finale lascia una sensazione generale di incompiutezza
Consigliato a chi
Ama riflettere sulle mille sfaccettature dell’animo umano ma con un sorriso sulle labbra
Voto 3/5
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