Tratto dalla celebre saga letteraria di Daniel Pennac – iniziata nel 1985 in seguito a una scommessa –, Il paradiso degli orchi è il primo dei sei libri che raccontano le avventure di Benjamin Malaussene, capro espiatorio di professione. Il poveretto, infatti, lavora per un grande magazzino di Parigi: il suo compito è sorbirsi le lamentele dei clienti e impietosirli, così da evitare reclami ufficiali e far risparmiare ai suoi superiori vagonate di soldi. I problemi iniziano quando, in pieno periodo natalizio, all’interno del centro commerciale vengono piazzate una serie di bombe che provocano la morte di alcuni colleghi di Malaussene, il quale diventa subito il sospettato numero uno della polizia. Così, insieme a una giornalista soprannominata zia Julia, comincerà ad investigare per scagionarsi, scoprire il vero colpevole e proteggere la sua strampalata famiglia.
Adattare un romanzo best seller tradotto in più di venti lingue per il grande schermo non è mai cosa semplice. Nicolas Bary ci prova, cercando di mantenere i toni frizzanti delle pagine di Pennac. In parte ci riesce, perché il film tiene un ritmo costante dall’inizio alla fine, con pochi momenti di stanca. In più, gioca la carta del mix di generi, con una storia che unisce commedia, romance e giallo in un colpo solo – conditi da spruzzate oniriche in stile Gondry –, assicurando una varietà di situazioni sicuramente apprezzabile. La verve comica è costruita sulla condizione del protagonista, che si deve improvvisare detective per evitare la galera e allo stesso tempo occuparsi di una famiglia che più eterogenea non si può: si va dalla sorella incinta a quella veggente, passando per il ragazzino piccola peste, tutto genio e sregolatezza, e il più piccolo di tutti, che suscita il sorriso non appena lo si guarda. Il problema è che stiamo parlando di cliché già visti, ormai sedimentati nei codici del genere, e questo non fa che rendere le gag prevedibili. Fortuna che da una parte Bérénice Bejo con la sua zia Julia porta una ventata d’aria fresca ogni volta che entra in scena, e dall’altra la sottotrama da detective story spinge il tutto verso atmosfere più accattivanti, con il grande magazzino, teatro della vicenda, che poco a poco si toglie la maschera di paese delle meraviglie per mostrare la sua vera natura, rappresentata da una verità che scava nel passato, dentro una storia di rapimenti di bambini.
Capitolo a parte per il protagonista, figura abbastanza difficile da inquadrare: chi non conosce la saga di Pennac si aspetterebbe un’evoluzione decisa nel corso della storia, e invece Benjamin è un personaggio che rimane immobile, che prende in mano la sua vita solo perché è costretto a farlo, non per volontà di cambiamento. E proprio quando la svolta sembra imminente, preferisce fare un passo indietro. Ma forse, è proprio questo che piace ai fan dei romanzi.
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Mi piace
Il mix di generi che caratterizza la storia e la performance di Bérénice Bejo.
Non mi piace
La prevedibilità delle gag e l’immobilismo del protagonista, che si palesa nel finale.
Consigliato a chi
Ama la saga letteraria di Pennac.
Voto: 2/5
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