Il piano di Maggie - A cosa servono gli uomini
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Il piano di Maggie – A cosa servono gli uomini

Il piano di Maggie – A cosa servono gli uomini

Greta Gerwig, nonostante sia nata in California, è stata eletta a pieno titolo rappresentate del cinema indie newyorkese, cioè di quei film indipendenti e a basso budget, spesso sofisticati e un pochino altezzosi, ambientati nella Grande Mela.
Gli amanti del genere non faticheranno a riconoscere la Gerwig come la bionda musa (e compagna) di Noah Baumbach, che nei film che l’hanno resa celebre (da Frances Ha fino a Mistress America, passando per Lola Versus) incarna alla perfezione la giovane brillante ma goffa e impacciata, che potrebbe avere tutto ma fatica ad ottenerlo.
Nonostante stia crescendo, però, l’attrice sembra far fatica ad emanciparsi dai ruoli da imbranata, almeno sentimentalmente.

Ed infatti in Il piano di Meggie – A cosa servono gli uomini, Greta è la protagonista del titolo, un’insegnate d’arte sui trent’anni decisa a diventare madre nonostante non sia in grado di far durare una relazione per più di tre mesi. Proprio per questo, da donna del proprio tempo, decide di ricorrere all’inseminazione artificiale dello sperma di un ex compagno di liceo interpretato dal vichingo Travis Fimmel che – ammettiamolo – ha un patrimonio genetico di tutto rispetto.
Ma l’amore ci mette lo zampino, e Maggie finisce per innamorarsi di John, un collega antropologo (interpretato da Ethan Hawke). La loro unione, e la figlia che ne deriva, hanno la conseguenza di sfasciare l’altro nucleo familiare di John, che è in realtà felice (almeno in un primo momento…) di scappare dalla moglie-padrona Georgette (Julianne Moore), un’algida quanto affascinante insegnate della Columbia University.
Con l’esaurirsi dell’idillio amoroso, però, Maggie si accorge di non essere soddisfatta e decide di mettere a punto un piano che possa riportarla alla serenità sperata e mai realmente raggiunta.

Nulla si può dire su questo terzetto d’attori diretto da Rebecca Miller, ma vale la pena soffermarsi sulla splendida interpretazione di Juliane Moore. L’attrice dimostra ancora una volta il proprio talento comico in dialoghi serratissimi che sono una sinfonia dall’accento nordico. A lei va il merito di riuscire ad incarnare l’archetipo dell’intellettuale snob senza renderlo odioso, ma anzi accogliente. Al punto che si finisce per fare il tipo per lei, nemesi della protagonista, che si dimostra invece incapace di evolvere.
Quello che non funziona, infatti, è la ciclicità, un eterno ritorno dell’uguale in cui i personaggi non sembrano compiere nessun progresso, ma anzi si trovano inchiodati al punto di partenza.

Leggi la trama e guarda il trailer.

Mi piace: la prova dei protagonisti, Julianne Moore in primis

Non mi piace: il racconto di una New York fastidiosamente radical-chic

Consigliato a chi: non sa resistere al fascino delle rom-com indie

Voto: 3/5

 

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