La Werth Accademy è una scuola prestigiosa, che forma le giovani menti di oggi, destinate ad essere donne e uomini di successo di domani. Dopo mesi e mesi di preparazione però, il colloquio d’ammissione va male, e questo spinge una madre a trascinare la propria figlia in un nuovo quartiere, in una nuova casa, dove la costringerà a sottoporsi ad uno stressante programma di studio e di vita: come residente nel quartiere l’accademia dovrà accettarla per forza, ma dovrà comunque dimostrarsene all’altezza.
Qui, la bambina fa amicizia con il suo eccentrico vicino di casa, un’Aviatore, ansioso di raccontare a qualcuno la storia del suo incontro con il Piccolo Principe, prima che sia troppo tardi.
Scritto nel 1943 l’opera di Antoine De Saint-Exupéry è il libro più venduto e tradotto dopo la Bibbia e, per un regista, misurarsi con un colosso del genere non è mai un’impresa facile in quanto, il rischio di deludere i lettori è sempre dietro l’angolo.
Mark Osborne (Kung Fu Panda) però si è dimostrato all’altezza della sfida che gli è stata presentata, portando sul grande schermo il un Piccolo Principe all’altezza delle aspettativi di chi, almeno una volta nella vita, sfogliando le pagine del libro, ha cercato un pozzo nel deserto insieme all’Aviatore.
La maestria nella regia è avvalorata da un sapiente uso della tecnica stop motion, indispensabile per incrociare la narrazione della storia del Piccolo Principe, con l’evolversi delle avventure moderne, e quindi rappresentate con l’animazione tradizionale, della bambina e dell’Aviatore.
La bellezza e la profondità della storia originale c’è, e si vede anche nella “licenza poetica finale”, dove le telecamere sono tutte concentrate su un Piccolo Principe versione adulta che, grazie all’aiuto della bambina, riuscirà a recuperare quei ricordi strappatigli via dalla società in nome della “produttività”.
Perchè tutti i grandi sono stati bambini una volta, il trucco sta nel ricordarlo.