Il ponte delle spie: la recensione di Mauro Lanari
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Il ponte delle spie: la recensione di Mauro Lanari

Il ponte delle spie: la recensione di Mauro Lanari

Non so bene quando Spielberg abbia cominciato a esser’il “Family Man” più importante d’Hollywood, forse con “E.T.” nell’82, allorché dentro una storia d’impianto diversissimo iniziò a infilarvi tal’ideologia: pure l’alieno era un piccolo smarrito supplicante “home”, il ricongiungimento astrale coi suoi parenti. Anche per il 3° episodio d'”Indiana Jones” (1989), dovendone rilanciare il franchise, non trovò di meglio ch’affiancar’al protagonista il padre impersonato da Sean Connery. Il paradosso sta nel fatto che, smettendo di sfruttare qualsiasi storia per parlare anzitutto della sua malsan’idea d’un presunto nucleo sociale di base imprescindibile per la trasmissione di valori che forgerebbero i figli rendendoli dei frankcapriani “eroi comuni”, ossia prendendo l’argomento di petto e mostrandone la problematicità, gli ci scappa il filmone sincero, onesto, ispirato, commovente: “Prova a prendermi” (2002). Non è il caso di questo suo ultimo film. Si dovrebbe ripeter’il medesimo discorso per gl’altri due elementi della famigerata triade Dio, Patria, Famiglia. Al confronto il suddetto Capra dimostrò un inestimabile coraggio narrando la critica sociale dei suoi John Doe verso corruzion’e malvagità dei propri connazionali. Spielberg, invece, è uno sfegatato sciovinista patriottardo e i nemici son’immancabilmente stranieri “alle porte”, per l’appunto com’in questo biopic. Oltr’alla contrapposizione finale tra i bambini che a Brooklyn scavalcano per gioco i cancelli rispetto a quelli falciati dalle mitragliatrici a Berlino Est, ecco pure la religiosità a stell’e strisce del rito della preghiera prima dei pasti. “Limitarsi a tale visione ristretta de ‘Il ponte delle spie’ sarebb’ingiusto e non renderebbe merito [né] all’accurata ricostruzione degl’eventi del ’57, mai così realistica nella sua drammatica crudezza”, né alla sua “bruciante attualità, profondamente” segnata dalla qualità artistica. Bah, semmai è la retorica spielberghiana che zavorra pressoché la sua intera filmografia limitandone l’eccelse potenzialità. Se volete vedere soltant’il bicchiere mezzo pieno, il filmaker di Cincinnati v’obbliga a diventar’orbi da un occhio. No, thanks, non so voi ma io alla binocularità ci tengo.

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