Chazelle insiste coi film su estenuanti prove di resistenza fisica e mentale, motivati da non si sa bene cosa. Tanti sforzi per chissà quale vacuo obiettivo, giusto per fornire ai suoi protagonisti un’ossessione che ne giustifichi i sacrifici anzitutto affettivi. Nessun “gigantesco balzo per l’umanità”, nessun approdo nel “mare della Tranquillità”, sempre meno epica e sempre più dramma. Un’altra ode all’antiedenica condann’al lavoro con fatica: “Arbeit macht frei”? La cronica inespressività di Gosling appesantisce ulteriormente un film sfiancante.
© RIPRODUZIONE RISERVATAIl primo uomo – First Man: la recensione di Mauro Lanari
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