Tre racconti per tre regni fiabeschi che mettono in scena tanto le declinazioni dell’orrore quanto quelle della bellezza: una regina con il pensiero fisso di avere un figlio a tutti i costi, al punto che porta a sacrificare il marito in una battaglia per ottenere un cuore di drago marino, il quale, cucinato da una vergine e poi mangiato, permetterà alla stessa regina di rimanere incinta; un re dedito ai piaceri della carne che rimane stregato dalla voce melodiosa di una fanciulla che in realtà è una vecchina; un sovrano che alleva amorevolmente una pulce, e che, una volta morta, la scuoia, la espone alla corte indicendo un bando che prevede come premio la mano della figlia a chi indovinerà l’origine della pelle.
“Il racconto dei racconti” (che è stato in concorso al Festival del Cinema di Cannes) è un fantasy italiano molto particolare, con una forte impronta autoriale, diretto da Matteo Garrone, l’acclamato regista di “Gomorra”. I racconti – “La regina”, “La pulce”, “Le due vecchie” – che scorrono parallelamente nel film senza mai incrociarsi (perlomeno a livello diegetico: nelle tematiche sembrano rincorrersi e specchiarsi) sono liberamente tratti da “Lo cunto de li cunti”, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana (pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636) di Giambattista Basile.
La fotografia barocca, sia nei colori che nella composizione dell’inquadratura, è l’elemento che subito spicca all’attenzione di noi spettatori, insieme ai tempi dilatati che imprimono al film un ritmo disteso e totalmente differente al panorama cinematografico del genere fantasy, che mischia la meraviglia e l’incanto con la fisicità della carne e del sangue (che ricorrono molto nel film, insieme all’elemento del fuoco) e di tutto quello che può essere buffo, orrido e brutale nelle situazioni e nei rapporti tra i personaggi; tanto da vedere nel film alcune scene tipiche del genere horror. È un formalismo che permette, e richiede di sospendere la nostra incredulità per vedere un mondo (tre) dall’apparenza disarmonica, regolato da dinamiche che si risolvono costantemente per la via diversa, alternativa, paradossale, mai quella forse più gratificante e che possa armonizzare le vicende – fatto salvo, per contrasto, il purissimo rapporto di amore fraterno che lega il gemello della regina con quello bastardo partorito dalla schiava, che era stata incaricata dalla regina a cucinare il cuore di drago e poi rimasta incinta respirandone involontariamente i vapori. La colonna sonora di Alexandre Desplat avvolgente e dal tempo cadenzato che riempie quasi tutte le scene sembra dare l’idea di un agire che sta al di sopra della coscienza dei personaggi, che piangono, soffrono in tempi diversi, ma nessuno rimane escluso al dolore e all’ombra del destino e della morte: pare perciò esserci una sorta di karma che sembra riequilibrare, nell’epilogo, le dinamiche dei personaggi, con il fuoco e uno spettacolo circense che chiudono il film così come era stato aperto.
Garrone per la prima volta gira in lingua inglese scegliendo, oltre al direttore della fotografia Peter Suschitzky (collaboratore storico di David Cronenberg) e il già citato Desplat per le musiche, un cast internazionale, che oltre ai ruoli minori degli italiani Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini, vede Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones (i sovrani dei tre regni). Otre ai precedenti, è giusto mettere in rilievo l’interpretazione pregevole dei giovanissimi Bebe Cave (Viola, la figlia del re che indice il bando per trovarle un marito) e Christian e Jonah Lees (i gemelli).
L’opera di Garrone ci porta quindi dei racconti lucidi, adulti, disincantati e di un “realismo” straniante per il genere fantasy e per gli spettatori; racconti che non hanno paura di mettere in scena aspetti brutali e corporali dell’animo umano, che vogliono l’impegno del pubblico per stare al passo del ritmo disteso che esclude ogni tipo di azione fine a se stessa – urti ed esplosioni sono assenti e i combattimenti sono ridotti all’osso e per niente frenetici.
Garrone ha fatto uno splendido lavoro, con una sensibilità che non può non affascinare anche chi non è un amante del genere fantasy, come il sottoscritto che scrive.
Voto: 4/5
© RIPRODUZIONE RISERVATA