Il romanzo di fantascienza Il Pianeta delle Scimmie, datato 1963 e scritto da Pierre Boulle, ha sempre suscitato un gran interesse da parte del medium cinematografico, al quale sono conseguiti diversi tentativi di adattamento. Già solo cinque anni dopo vede la luce l’omonimo film con Charlton Heston, capace di generare ben quattro sequel.
Il fascino verso questo racconto distopico continua nel ventunesimo secolo, in primis con un tentativo poco riuscito di remake da parte di Tim Burton nel 2001 e, nel decennio successivo, con la trilogia reboot con protagonista Andy Serkis. In particolare, con questi nuovi capitoli il franchise ottiene un rinnovato successo, anche grazie a un traguardo quasi rivoluzionario della motion capture.
Il Regno del Pianeta delle Scimmie si inserisce nella storyline di questi ultimi, ambientando l’intreccio 300 anni dopo gli eventi di The War – Il pianeta delle scimmie e seguendo l’eredità di Cesare, la prima scimmia a predicare l’unione tra uomini e primati e a battersi contro la violenza tra simili. Il nuovo protagonista, Noa (Owen Teangue), è un giovane scimpanzé unico reduce dall’assedio della sua colonia da parte di un clan che ha distorto gli insegnamenti di Cesare. In un viaggio per liberare i suoi simili, Noa incontrerà Mae (Freya Allan), una ragazza umana, specie ormai ridotta allo stato di bestie.
Questo rilancio del franchise mantiene sicuramente la valenza politica e il messaggio terribilmente attuale dei precedenti, in questo caso ancor più legato ai concetti odierni di rivendicazione territoriale ed espansione sotto il nome di un unico regno. Assistere inoltre a un worldbuilding così distante a livello temporale dalle vicende di Cesare permette di dare vita a un capitolo indipendente, che implementa nuovi equilibri e situazioni, rinunciando al facile fanservice, ma rimandando al passato solo quando è strettamente funzionale allo svolgimento della trama.
Eppure Il Regno del Pianeta delle Scimmie non si inserisce con forza nella memoria dello spettatore allo stesso modo dei predecessori, colpa imputata forse al cambio di regista, da Matt Reeves, dietro la macchina da presa dei due episodi più di successo del brand, a Wes Ball, che si è occupato della trilogia young adult di Maze Runner.
Come quella di Cesare, si tratta sicuramente di un’eredità complicata da accogliere, essendo Reeves uno tra gli esponenti più riconosciuti del blockbuster moderno. Wes Ball, però, non imprime una propria personalità o un approccio distintivo a questo capitolo, che spesso risulta anonimo e privo di soluzione visive accattivanti. Così come hanno poca presa i comprimari umani, pochi e poco carismatici, a cominciare da uno sprecatissimo William H.Macy di contorno. Per fortuna i protagonisti primati, senza ombra di dubbio più interessanti oltre che visivamente sempre più realistici, occupano in questo episodio una parte ben più rilevante.
Pesa eccessivamente sul prodotto finale anche la durata strabordante, che si adegua al canone dei blockbuster odierni, ma che per questa origin story pare troppo esteso, causando ancora di più una sensazione di indifferenza nei confronti de Il Regno del Pianeta delle Scimmie, rimanendo comunque uno spettacolo godibile e capace di instillare nel suo pubblico curiosità per il futuro del franchise.
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