Il sapore del successo: la recensione di Mauro Lanari
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Il sapore del successo: la recensione di Mauro Lanari

Il sapore del successo: la recensione di Mauro Lanari

“IL SAPORE DEL SUCCESSO è una storia incredibilmente divertent’ed emozionante sull’amore per il cibo, l’amore tra due persone, e il potere di una seconda possibilità.” Bella presentazione per una “Weinstein production” ch’invece non è una commedia, non è sentimentale e non è un film “di riscatto e redenzione”. Incasellate pure, ma con un minimo di serietà, grazie. “Pieno di cliché”, leggo da parte del maggior numero di critici. Premesso che però i cliché finalizzati all’Academy vengono trattati come parametri di maestri’artistica, il fascino di “Burnt” è d’essere al contrario fuori dagli schemi. Bradley “blue eyes” Cooper è più credibil’e quind’emozionante qui che in una qualunque pellicola girata con la Lawrence e diretta da Russell alla spasmodica caccia di statuine. Dop'”Amore, cucina e curry” (2014), Steven Knight rilancia con un’altra sceneggiatura d’ambiente culinario: a parità di stelle Michelin, non si tratta più d’integrazione multietnica bensì di quella con sé stessi, quella che lo chef Adam Jones chiama “coi propri demoni”. “Dall’ago all’ego”: il perfezionism’ossessivo e la gestione del fallimento conditi coi camei di Thurman e Vikander e impreziositi dalle prove d’Emma Thompson e Daniel Brühl, ma tutto il cast è fondamentale per trasmettere il senso di coralità/convivialità quale terapeutico “gruppo di supporto e sostegno” in cui è necessario anch’il decantarsi di colleghi fals’amici e falsi nemici. Per godere d’un film del genere bisogna cogliere la mole di non-detti: ch’il protagonista stavolt’abbia trovato il successo è una conclusione semplicistica e ingiustificata; si sta rimettend’in gioco quel tanto da provarci di nuovo, e il regista John Wells, più ispirato che nel sopravvalutato “I segreti di Osage County” (2013): altro vero cliché, non ci svela se Bradley tornerà o meno all’autolesionismo come già a Parigi: la storia d’amore con la Miller si limit’a un bacio fugace, l’analisi con la Thompson è appen’agl’inizi così come pur’il rapporto familiar’e il gioco di squadra col suo staff. “Affetti, lavor’e salute” potrebbero risaltar’in aria, per inserirlo tra i “feel-good-movie” dovrebb’esserci un “happy ending” stabil’e stabilizzato, che in questo caso manca poiché il film termin’allo stato embrionale, nascent’o forse morente. Finale aperto, dunque. Montaggio serratissimo ch’anticipa i forsennati ritmi della cucina/caserma, titol’iniziale “Chef” cambiato nel luglio 2014 per non generare confusione con l’omonimo film di Jon Favreau, incipit da “heist movie” col reclutamento dell’Armata Brancaleone. Genuinamente spiazzante, toccant’al di sopra della media, “gustoso”.

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