Il sesso degli angeli: la recensione di Mauro Lanari
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Il sesso degli angeli: la recensione di Mauro Lanari

Il sesso degli angeli: la recensione di Mauro Lanari

I comici sono prigionieri del pubblico: vuole che si rinnovino aggiornando il repertorio però gli proibiscono un vero cambio di registro. Fu così già per il Chaplin di “Monsieur Verdoux” (1947) ed è così ancora di recente: Woody Allen stroncato quando flirta col pessimismo cosmico (“To Rome with Love”, 2012; “Un giorno di pioggia a New York”, 2019), Aldo, Giovanni e Giacomo incompresi quand’osano girare nientemeno ch’il loro “Hellzapoppin'” (“Fuga da Reuma Park”, 2016), adesso quest’ultimo lungometraggio di Pieraccioni. Leggendo in giro non ho trovato recensioni che suggerissero una chiave metacinematografica per la sua 14a fatica da regista: ne “Il sesso degli angeli” egli prende le distanze da se stesso che raffigura nei panni dello zio tentatore impersonato da Ceccherini e, immalinconito (invecchiato?), dirige una commedia bonaria con cui fa ammenda della propria filmografia. Appena due battute volgari in un lungo esame di coscienza col quale abiura il suo precedente libertinismo. “Ha i suoi momenti migliori quando si scopre dramma psicologico, quando lascia il suo protagonista solo con i suoi dubbi” (Alessio Baronci) e le sue autoriflessioni: sarà ingenuo quanto “Forrest Gump” (pure qui s’inizia con una piuma che volando cade vicino al protagonista), non sarà serioso quant’il prete morettiano de “La messa è finita” (1985), ma è una piacevole sorpresa. Almeno per chi è disposto a fruirne senza pregiudizi.

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