Il testimone invisibile (2018) è il quarto lungometraggio del regista toscano Stefano Mordini.
Un cinema italiano discreto e volitivo, una sceneggiatura remake ma pur sempre frizzante o per meglio dire ansiogena.
Film in cui tutto è peculiarmente preciso. Nessun sbalzo, nessuna inutilità all’apparenza, nessun riscontro dei fatti. Tanti volti, tanti punti di visto, tante domande, risposte e aiuti, squilli di telefonino e posti angusti. Riprese da dietro, dall’alto, volti in obliquo e interrogatorio faccia a faccia seduti contro un tavolo ovale. Eppure qualcosa sugge subito senza sapere i testi e i racconti di tre mesi prima dell’interrogato. ‘È in anticipo all’appuntamento fissato…’ dice mentre vede una donna giudice dopo aver aperto la porta del suo appartamento. Ecco vi è un anticipo su un orario fissato che scopriamo nel durante non prima. E gli avvenimenti e flashback arrivano dopo accavallati secondo domande e orientamenti, visuali e sguardi, innocenti e assassini, nomi e incontri.
Un anticipo che può spiegare ma non sappiamo cosa. In dubbio che scompare mano a mano nella vicenda e durante l’interrogatorio di avvenimenti già di ieri e avantieri mentre l’oggi e il domani ancora non maturano tra morte e difesa di se stesso.
E l’incipit è già un punto di vista che da segnali oppure sviarci….Una morte, una caduta, un grido e una porta che potrebbe aprirsi, un soccorso e evidenze, forse mai abbastanza evidenti. Sangue e un vetro frantumato. Sguardi e stanze piene di vuoti e silenzi testimoni.
Riccardo Scamarcio, oramai ha un suo fascino da faccia da schiaffi, oramai ha il viso scolpito per certi personaggi, dal trombare di loro, al…..fino al innocente riccone e spavaldo di un nemico da ricostruire.
Fabrizio Bentivoglio appare di una spanna sopra a tutti, introverso, incandescente, freddo e glaciale, rugoso e smansioso, acerbo e fustigatore. Una famiglia o meglio una coppia che non perde le misure mai ma riesce a una vendetta fredda, istrionica, placida, di attesa, di un film intero mentre lo spettatore vede e rivede i volti e i risvolti, le viste e i punti di vista. Scavare dentro e riscavare fino ad avere tutte le facce del cubo e di ogni spigoloso angolo di una morte. E i volti e risvolti non mancano:
1. Il testimone maschio, Adriano Doria;
2. La testimone femmina, Laura;
3. Il testimone ancora vivo, Daniele Garri;
4. Il testimone di passaggio, quasi inutile (o forse utile);
5. Il testimone paterno di un figlio, Tommaso Garri;
6. La testimone per un processo sulla morte di un figlio, Virginia Ferrara.
Ecco che i nomi dicono poco o forse nulla o quasi tutto se non tutto. Un faccia faccia può essere sincero e bugiardo, quello tra Adriano e Adriano quasi un confronto di ruoli recitativi e di attese per un cinema che da implosivo vorrebbe espandersi fuori. Nonostante storie aggiustate e forvianti, schemi stereotipati e intuizioni di ripresa, oggetti e cose, remake e visi poco noti.
Un film onirico dove le riprese dall’alto danno il senso di uno ‘shining’ qualsiasi e di un incubo mai da chiudere. Una stanza e un tavolo, un confronto, domande e risposte. Buio e controbuio. Una finestra e una parrucca. Un ascensore e un padre che guarda. Lì vicino è arrivato il set per decodifare i puzzle di una storia e i suoi sentieri neuronici.
Scamarcio 7, Bentivoglio 8, Miriam Leone 6,5, Maria Paiato, 8,5.
Ambientazione spenta e testuale, invitante al cupismo.
Regia attenta e stilisticamente opportuna all’uopo.
Voto: 7/10 (***).