Il traditore tipo: la recensione di loland10
telegram

Il traditore tipo: la recensione di loland10

Il traditore tipo: la recensione di loland10

“Il traditore tipo” (Our Kind of Traitor, 2016) è il secondo lungometraggio della regista britannica Susanna White.
Il cinema ha bisogno di storie a tutto tondo per innescare buoni intrecci e fatidici amici di compagnia per salvare l’onore e sputare sangue per la famiglia (quella propria). In questo lo scrittore John le Carré ha offerto molte storie al grande schermo per trasposizioni più o meno riuscite: l’ultimo film da un suo libro è quest’ultima pellicola (dal romanzo “Il nostro traditore tipo” del 2010) con la sceneggiatura di Hossein Amini.
“Perché mi ha scelto?”, “Cosa vuole in quel ristorante non c’era nessuno, eri l’unico..”. Appunto un unico da non scegliere per un film che si guarda in silenzio, non annoia, non inciampa, non sperpera ma, allo stesso tempo, non arricchisce, non scava e, tristemente, non inquadra lo specchio di sangue di una sporca storia.
Tutto in routine di giro, tra Marocco, Francia, le Alpi, Berna e Londra. Un turismo d’elite tra intrighi scomponibili e scambiabili, pennette con elenchi, cifre e un mare di soldi sporchi. E’ la mafia russa che controlla il mercato, con il continente senza confini (post muro o prima è indifferente) e Dima ha da fare molto per proteggere se stesso ma, soprattutto, la sua ‘cara’ famiglia.
Incipit accattivante e nulla di promettente nel rigagnolo di sangue del manto nevoso. Difficile scappare con i tacchi che s’affossano completamente nel bianco, con le spalle scoperte e un volto femminile che non ispira nulla di pietoso. Fuoco. E il corpo sul bianco candore incontra una scena madre dei fratelli Coen. Inizio voglioso e di buon auspicio.
Purtroppo il resto tra intervalli efficaci e svolte addolcite, inquadrature in controcampo fuori orbita, visi oltremodo caricaturali, asciuttezza sfiduciata e un gran libro non perennemente in orbita sul grande schermo. Da questo punto di vista “La talpa” (2011) conquistò per la marcata recitazione implosiva. Invece qui rimane tutto in superficie e le scene, seppur gradevoli e per nulla noiose, sono già pilotate e quasi ammiccanti alle successive da venire, tutto in ‘slow-motion’ filmico nonostante le musiche ‘agevolanti’ di Marcelo Zarvos.

Testa fuori onda e testa fuori registro: Marrakech, una festa, una bevuta, una donna, un favore ed ecco che Perry diventa l’uomo qualunque che si mette nei guai per un malcapitato ‘onore. Tra lui, Dima, lo Spionaggio Britannico e la Mafia Russa, girano molte informazioni e sporcizia vera su denaro in gran quantità. La Banca di Berna prende tutto e le firmano bastano per un clic sul conto corrente giusto.
Il virtuosismo da cinema sarebbe gradito e le posizioni di camera mentre il linguaggio giusto è da leggere sulle labbra. Dagli interni e degli interni la celluloide dovrebbe fornire il là per un thriller tutto di aspettativa e di grande spessore. Meglio non fare paragoni.
Professore di ‘poetica’ tra un inferno e un amore: Perry e Gail sono in parte ma il fuoco da ‘centrare’ in ripresa e un po’ sbiadito.
Oh… che scena prenotata di un elicottero in scoppio anticipato mentre una telefonata abdica il paesaggio di bellezza tra montagne vive e sospiri già avvenuti.

Ewan McGregor fa quello che deve fare (e ‘lo scrittore-fantasma’ non è in spolvero quando dietro c’è altra mano) con una bellissima Naomie Harris (Gail) che aleggia la parte per smascherare l’intrigo.
Il contromano finale (‘quasi alla Polanski’) è veramente poco per un John le Carré riposto dentro il cassetto di uno scaffale impolverato di bei ricordi. La parabola discendente, l’invasione della amoralità, lo sconcio politico: ogni gioco perde il palato per accomunare ciò che si desidera tra una scrittura e una settima arte di passaggio.
Regia non eccelsa o per meglio dire di livello medio con stratagemmi di levatura tra immagini televisivi e lunghi panorami solo d’ambientazione. Ciò che permane è un film di intrigo che si lascia vedere.
Voto: 6+ /10.

© RIPRODUZIONE RISERVATA