In ordine di sparizione: la recensione di loland10
telegram

In ordine di sparizione: la recensione di loland10

In ordine di sparizione: la recensione di loland10

“In ordine di sparizione” (In Order of Dissapearance, 2014) è il settimo lungometraggio del regista norvegese di Oslo Hans Petter Moland.
Bianco trucido e rosso brillante, neve sagace e sangue liquefatto. Freddi corpi e calde misture di ruoli inermi. La morte trova spazio in una candida copertura di uomini sconfitti (e per nulla imbacuccati).
Non c’è che dire su un’ambientazione innevata di corpi, coperta di sangue e raffreddata da sguardi orribilmente ironici. Poco manca nell’ordine delle idee dell’uomo gangster e onnipresente di impero malvagio di trovarsi faccia a faccia vicino al gelido contorno di un circolo polare artico che aspetta solamente (e saldamente) il conto dei morti e degli scomparsi dalla lista di partenza per arrivare (si fa per dire) al Nord (capo) di un complotto mafioso non certo al Nord (geografico) ambizione misera per chi ha lo sguardo sgranato e di ghiaccio per far fuori ogni volto scomposto tra le sue mani. E d’altronde in un biancore lineare con spazzaneve mastodontico e mura arcigne ad ogni difesa, cosa non si può fare che prendere in giro il genere ‘noir’ e una recondita partecipazione ad un film lungimirante, cadaverico, ironicamente glacializzato e perdurante ad un vizio antico di ammazzare per chi ha ‘gusto’ di trovarsi in strada un inciampo senza volerlo. Per dare meno fastidio a se stessi eliminare uno per uno ogni relitto umano che non incrina la storia e vendica il figlio mai più visto. E le opposte fazioni si incontrano freddamente per diluirsi (pochissimo in realtà) oltreché sciogliersi (solo qualche millimetro interiormente) in una metastasi di pallottole e una carambola di colpi come mattanza (serbata per lungo in storia raccontata) in mafie e digiuni di morti come scorse siano mondo non ignora.
Nils (Stellan Skarsgàrd) si sta facendo la barba, si sta mettendo il vestito (bello) e prima di uscire di casa dice alla moglie: ‘Devo fare un discorso…’. Tutto imbarazzato è applaudito in una cerimonia fausta per prendere il premio dell’uomo ‘dell’anno’. Si sente fuori pista ma entra dentro e ne esce con dignità. Ma il suo percorso in vita prende una direzione molto particolare. Onnivora verso la vita e il destino che gli ha riservato. Un figlio che muore e un’overdose che dirima ogni inchiesta (chiusa) fa andare su tutte le furie il padre (Nils appunto). E i gesti non sono solo di facciata ma si parla di eliminazione e far sparire i corpi ogni volta che l’inchiesta personale (sulla verità) si blocca o si ferma per un inciampo o una persona che non dice il giusto. E’ il ‘Conte’ Greven il grande capo a cui arrivare per avere la giusta vendetta; la strada non è semplice e il sangue scorre spesso in uno scontro-incontro con la ‘mafia-serba’. Nils va avanti senza sconti. E al primo rientro a casa fuori tempo massimo chiede alla moglie: ‘…non mi chiedi dove sono strato…?’ Il gioco duro è già cominciato e la moglie pare fare da semplice spettatrice dell’orrore. E nel finale truculento e sanguinario una pistola tira l’altra mentre i nemici del Conte (solitari e di gruppo) sono tutti lì ad attendere il duello senza tregua. E il Papa (Bruno Ganz) si trova amici di lista per vendicare un altro figlio.
Mesto e lineare nell’ambiente-azione bianca-mente tetra, il film alza il tono (in modo eccessivo e tracimante) nelle sequenze di rito sanguinario colpendo lo spettatore per idioma ‘splatter’ e gusto di far arrivare il rosso oltre la superficie bianca di una neve costante. Un nord ammantato in cui si scopre il coperchio del successo e dell’avidità a tutti i costi. Anche perché il Conte ha il proprio pupillo (il figlio che deve imparare il mestiere…della morte) e mai lasciarselo rubare da chi non può sopportare. E da chi pensava non esistesse più. L’uso oltre il modello americano (supera Scorsese in un Tarantino senza essere in forma) dà al regista il gusto dell’ironia fino in fondo con titoli e didascalie che elencano i nomi in passaggio di vita (e di sparizione dallo schermo). Come ogni croce da mettere sul’elenco del cast che scorre in canna nell’ultima schermata fino ai nomi ultimi rimasti (vivi in questo mondo) mentre un deltaplano s’affianca per pura sfortuna allo spazzaneve truculento e sanguinario. L’arcobaleno morente pè in via d’arrivo. E le croci di sparizione si possono elencare in un riso tristissimo e a denti strettissimi nel buio finale (oltre il candore di una neve).
Si deve dire che il cast alimenta sempre i passaggi giusti e in ogni momento mantenendo il film sopra l’asticella (forse eccessivamente troppo) facendo immaginare poco. E il poco che resta è solo un rimasuglio di gusti nascosti guardando film horror e di macabre storie. L’immaginazione desiste e resta in linea nascosta e praticamente invisibile. Ecco che il ghiaccio si auto include senza freddezza esteriore. ‘Nel suo genere è bello’ dice una signora all’uscita della proiezione in sala. E un’altra interviene: ‘…meno male che siamo vive noi..’. Chi sa forse immaginavano tutt’altro film…
Le prove di Stellan Skarsgàrd (Nils) e Bruno Ganz (Papa) valgono (assolutamente) il biglietto mentre il Conte (Pàl Sverre Hagen) riesce a tenere alto il gioco con uno sguardo indiavolato giusto e con la faccia da schiaffi.
Voto: 7.

© RIPRODUZIONE RISERVATA