Adele (Sara Serraiocco) è una ragazza singolare. Non ha alcun freno inibitore, va in giro indossando un pigiama rosa con le orecchie da coniglio, non si separa mai da un gatto immaginario e dissemina intorno a sé una miriade di Post-it, il filtro più immediato e istantaneo a sua disposizione per leggere il mondo alla sua maniera. Impudica e disarmante lo è in qualsiasi occasione, sempre e comunque.
In viaggio con Adele di Alessandro Capitani, regista che fa il grande salto dietro la macchina da presa dopo aver realizzato degli ottimi e premiatissimi corti (La legge di Jennifer, Bellissima), racconta di due solitudini costrette forzatamente a convivere, perché sulla strada di Adele (o forse è il contrario) fa irruzione Aldo Leoni, attore teatrale interpretato da Alessandro Haber, che tenta di approdare al cinema per la prima volta ed è castrato da manie ipocondriache, insicurezza mascherata da spavalderia, nevrosi e paure con le quali non ha mai fatto davvero i conti. Quando Aldo, all’inizio del film, scopre di essere il padre di Adele, la sua esistenza ne esce scombussolata in maniera irreversibile.
Adele è infatti una neurodiversa (parola da lei coniata), una giovane donna affetta da disturbi psichici, mentre Aldo un depresso sotto mentite spoglie. Entrambi i personaggi sono amplificati dalle doti e dai tic degli attori che li interpretano, vezzi attoriali che coincidono con vizi dei personaggi: la prima trova una misura toccante e straziante nella volenterosa interpretazione di un’eccezionale Sara Serraiocco, che forse ha già il David di Donatello in tasca, mentre il secondo si nutre, in virtù di un’interessante simbiosi, della recitazione sovreccitata e umorale di Haber. Perfino della vena burbera e scontrosa che spesso gli si attribuisce, magari a torto, anche lontano dal set.
Due icone raddoppiate, dunque, Adele e Aldo, protagonisti di questa moderna versione d’ambientazione pugliese di Paper Moon di Peter Bogdanovich (il dialetto foggiano della Serraiocco, pescarese di nascita, è il motore comico più forte di tutto il film, insieme ai riferimenti irresistibili a Toni Servillo…). Portatori, allo stesso tempo, di due idee di solitudine opposte: claustrofobica quella di Aldo, che non ha paura di morire ma di vivere, come la ragazza impietosamente gli fa notare; sfrenata quella di Adele, che ha dalla sua lo stesso candore osceno che lo sceneggiatore del film Nicola Guaglianone regalava anche all’Alessia di Ilenia Pastorelli in Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti.
Che parli di fellatio da elargire in gruppo a una banda di amici o si abbandoni allo slancio poetico e scriteriato di un’emozione da respirare a pieni polmoni, Adele lo fa sempre con lo stesso moto limpido e incurante delle conseguenze, infischiandosene delle turbe e dei mugugni di Aldo, vagheggiando un partner immaginario o forse no. Questa elettrizzante purezza, in fondo, è la stessa del film, che aderisce come un guanto alla sua protagonista, ai suoi fantasmi fiabeschi, buffi, color pastello, che tuttavia non banalizzano mai il suo autismo sfrontato, e risultano dunque doppiamente struggenti.
È un’operazione on the road agile e di breve durata (83 minuti), In viaggio con Adele, che evita di sottolineare gli spostamenti e di amplificare il peso dei luoghi del paesaggio pugliese. Per concentrarsi piuttosto sull’amore, elettrico, progressivo, inesorabile, in più di un’occasione sinceramente e spudoratamente commovente, che unirà i protagonisti. Oltre ogni situazione surreale, inciampo paradossale, distanza psicologica e culturale, perfino al di là di qualche goffaggine di scrittura che qua e là fa capolino. Oltre tutto e tutti.
Una fiaba sboccata, dunque, irriverente e sincera, che fa dell’irrequietezza una finestra sul mondo, e della disillusione un fantasma da ricacciare indietro a colpi di commozione. Il finale, sulle note di una bellissima cover di Life on Mars? di David Bowie, più che un monito sul potere della diversità aliena da qualsiasi canone diventa così un vero e proprio manifesto poetico dell’intero film. Polverizzando le certezze emotive dello spettatore, e aprendo la strada a un futuro ancora tutto da scrivere.
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