Qualcosa si muove. E non è l’ennesima gigantesca astronave aliena venuta a spazzare via i luoghi simbolo delle capitali terrestri, bensì la stanchezza del pubblico verso le mega-produzioni cinematografiche condite di esplosioni variegate e ben poca inventiva che di solito escono in sala durante la bella stagione.
Quest’estate infatti potrebbe essere ricordata per i flop al botteghino dei vari sequel/remake/reboot che sulla carta erano perfetti per macinare incassi facili senza troppi sforzi, ma che ormai offrono una quantità talmente limitata di creatività da iniziare a stufare anche gli spettatori meno esigenti.
Così un po’ tutte le grosse case di produzione hanno conosciuto il gusto amaro dei guadagni al di sotto delle previsioni nei weekend di apertura.
La Universal, con l’atteso ma troppo pompato “X-Men: Apocalypse” ha inaugurato la serie negativa senza riuscire a ripetere gli incassi dei due, splendidi, capitoli precedenti e aprendo la strada alle pallide performance lucrative delle altre major, come Warner Bros che ha prodotto un non disdegnabile reboot de “La Leggenda di Tarzan” con la coppia Alexander Skarsgard-Margot Robbie decisamente in parte, seguita a ruota da Sony e il tanto vituperato nuovo inizio al femminile dei “Ghostbusters”, che in definitiva era pure divertente.
Ma il flop più grosso dell’estate americana è il film di cui ci occupiamo oggi, ovvero “Independence Day: Rigenerazione”, il sequel del capostipite di tutti i film catastrofici super fracassoni che contemplano lo sterminio dell’umanità, arrivato dopo venti anni esatti dall’originale del 1996.
E la trama fotocopia parte proprio da questo spunto iniziale: la Terra, che dall’aver respinto l’invasione aliena del ’96 ha conosciuto un’epoca di pace ed unità senza precedenti e si sta preparando a celebrare l’importante anniversario, viene nuovamente attaccata da un’immensa astronave, stavolta una sola ma più grande di un oceano, mandata dagli extraterrestri distruttori per destabilizzare il nucleo del pianeta.
Ma la razza umana, che nel frattempo ha fatto passi da gigante nel progresso tecnologico grazie allo studio delle armi lasciate dagli sconfitti venti anni prima e ha addirittura colonizzato la Luna, non si fa più trovare del tutto impreparata e contrattacca con la versione aggiornata del solito manipolo di eroi dell’aviazione statunitense, ricevendo anche l’aiuto inaspettato di un’ evolutissima entità aliena nemica degli invasori, che ha viaggiato appositamente attraverso le galassie per portare il proprio contributo.
Niente di nuovo all’ombra dei dischi volanti verrebbe da dire, per di più se possiamo permetterci di svelare che a essere decisivo sarà ancora l’intervento di un eroico ma indisciplinato “top gun”, questa volta non più con le fattezze di Will Smith, che ha rinunciato a riprendere il proprio ruolo nel sequel, ma dalla giovane star Liam Hemsworth, fratello più giovane di Chris, famoso soprattutto per il ruolo di Gale, l’amico innamorato di Katniss nella saga degli “Hunger Games”.
Il capitano Hiller però aveva un figlio, che in “Independence Day” era mostrato bambino, quindi era praticamente scontato che il giovane Dylan seguisse le orme dell’illustre padre e diventasse un brillante allievo aviatore: lo ritroviamo interpretato da Jessie T. Usher, il quale però manca completamente di carisma e non è all’altezza di rievocare la personalità del proprio genitore cinematografico, infatti resta un po’ a margine dell’azione, relegato a spalla di Hemsworth.
Per uno Smith che non torna, tanti altri volti noti della guerra del ’96 hanno da dire la loro anche sulla seconda venuta degli invasori, a partire da quel presidente Whitmore (Bill Pullman con barba bianca) che pronunciò il famoso discorso motivazionale “oggi è il nostro giorno dell’indipendenza eccetera”: oggi ovviamente è un ex comandante in capo, perché al suo posto nello studio ovale è seduta una donna (Sela Ward, in anticipo sui tempi).
Se tralasciamo l’ulteriore carrellata di personaggi secondari del primo film che tornano, invecchiati, a fare una comparsata o a ripetere un datato espediente comico, il personaggio che fa più piacere rivedere sullo schermo non può essere che lo scienziato David Levinson, interpretato da Jeff Goldblum e stavolta vero protagonista della vicenda.
Era lui che nella pellicola originale scopriva il segnale alieno nelle trasmissioni delle tv satellitari ed aveva il lampo di genio di inviare un virus informatico nel sistema di comunicazione della nave madre; adesso lo ritroviamo a capo dell’agenzia di difesa spaziale (ESD), l’ente che negli anni ha sviluppato la tecnologia ibrida, ricavando infiniti spunti civili e militari dai relitti delle astronavi.
Ma in fondo è lo stesso genio incerto e dubbioso di sempre, con la battuta pronta e la pensata risolutiva a un secondo da una tragica fine, rivedere Goldblum all’opera rincuora l’animo dello spettatore anche se è l’unico attore davvero bravo in una storia senza propulsione, concede una boccata d’aria tra la sequenza di palazzi strappati dalle fondamenta in Asia, poi lanciati su di una città in Europa, e l’ennesima battaglia aerea nel deserto.
Il problema di questo film è probabilmente la sua esistenza stessa, sembra e probabilmente è un sequel realizzato unicamente per motivi economici, il che si potrebbe considerare quasi fuori tempo massimo se pensiamo per quanto a lungo si è parlato di dare un seguito ad “Independence Day”, che ormai è guardato con una specie di affettuosa tenerezza da coloro che erano ragazzini vent’anni fa, e poi si sia atteso tanto tempo.
Gli effetti speciali sono ovviamente bellissimi ma ormai non basta più, non si va più al cinema per vedere i prodigi della tecnologia digitale, anche perché si rischia di ritrovarsi con sterili scene d’azione troppo confuse di cui è impossibile percepire i dettagli, così come con dialoghi talmente piatti da risultare realmente superflui: non siamo ai livelli dei “Transformers”, ma quasi.
Sono troppe le cose che mancano a “Independence Day: Rigenerazione” per divertire davvero: manca l’energia di una trama forte e il carisma dei protagonisti, manca il senso di pericolo costante dell’apocalisse aliena ma anche la spensieratezza che caratterizzava ancora gli anni ’90.
L’epilogo con tanto di regina aliena, a pesante rischio plagio di “Aliens”, e il finale aperto con possibilità di ulteriore sfruttamento del marchio certo non danno brividi da film d’autore e soprattutto non fanno ben sperare per il futuro del cinema che chiamavamo “di cassetta”: che l’insuccesso commerciale di questa pellicola e delle altre dell’estate 2016 portino finalmente le case di produzione a cambiare rotta? Difficile da credere.
CI E’ PIACIUTO: Rivedere Jeff Goldblum nei panni dell’uomo normale che risolve questioni insormontabili con acume ed ironia, esaurendo l’ammontare di entrambe le qualità per tutto il resto della pellicola, e la tecnologia ibridata che, almeno all’inizio del film, si dimostra uno spunto narrativo interessante.
NON CI E’ PIACIUTO: La trama poco innovativa, troppo ripetitiva e piena di buchi, la povera caratterizzazione dei personaggi e la sovrabbondanza di ruoli secondari inutili, insomma un sacco di cose!
Non ci stupisce che la produzione abbia annullato le proiezioni in anteprima per la stampa.
SE VI E’ PIACIUTO: Se malgrado tutto lo avete apprezzato, andate a riguardarvi gli altri blockbuster apocalittici prodotti in quegli anni da Jerry Bruckheimer e diretti da Michael Bay, come “Armageddon”, naturalmente il primo “Independence Day” sempre di Roland Emmerich, ma ancor meglio la sua gustosissima parodia firmata nientemeno che da Tim Burton nel piccolo cult “Mars Attacks!”
PER APPROFONDIRE: Si dice che accostare questo film alla parola “approfondimento” possa causare capogiri e mancamenti, ma in ogni caso esistono anche dei libri sulla saga di “ID:4” scritti da Stephen Molstad, un paio sono ovviamente la versione romanzata delle sceneggiature di Dean Devlin e Roland Emmerich, alti tre racconti fungono invece da raccordo o da storie indipendenti ma sempre legate all’invasione aliena.
UNA CURIOSITA’: Will Smith non è l’unico attore del film precedente ad essersi rifiutato di tornare: il personaggio di Jeff Goldblum aveva una moglie, interpretata da Margaret Colin, alla quale riusciva a ricongiungersi nel finale, però nel sequel non vi è traccia di lei, viene brevemente spiegato che è morta in un incidente stradale.
Curioso come sia alto il tasso di mortalità accidentale tra gli interpreti riluttanti, Emmerich ha un modo tutto suo di far capire che non gradisce di esser rifiutato!