Quando a metà di marzo Bryan Burk era venuto in Italia per presentare i primi 30 minuti di Into Darkness – Star Trek e aveva annunciato senza battere ciglio di non essere mai stato un grande fan della serie originale («Non ho mai capito perché nel telefilm e in alcuni dei film della vecchia serie si parlasse così tanto e ci fosse così poca azione»), il dubbio – già maturato dopo il primo reboot/sequel firmato Abrams – era diventato una certezza: lo Star Trek della Bad Robot sarebbe stato un’altra cosa. Non c’è niente di male in questo, e gli sceneggiatori (Orci e Kurtzman, come per il film del 2009, con l’aggiunta di Lindelof) si sono anche sforzati di restare nell’ambito di storie che corrono parallele a quelle classiche – quasi si trattasse di Sherlock Holmes e del canone di Conan Doyle – continuando a sfruttare l’idea del bivio temporale/dimensionale per cui i nostri “convivono” con i personaggi classici, all’interno del medesimo universo. Ma la sensazione che la natura particolare del brand sia stata diluita fino a renderlo quasi irriconoscibile è forte. Quel che impressiona di più è vedere come lo Spock di Zachary Quinto sia diventato, completando la metamorfosi iniziata nel film precedente, un energumeno che si infuria, sbraita, litiga o limona con la fidanzata, e fa a cazzotti meglio di Dominic Toretto. La dualità “naturale” con Kirk si perde completamente: viene lucidata solo per gli sketch da comedy, salvo essere contraddetta al primo snodo drammatico.
Della trama, per evitare di entrare in zona spoiler, si può dir poco: un grande archivio della Flotta Stellare, in pieno centro di Londra, viene fatto saltare in aria dal misterioso John Harrison, uomo senza passato e dalla forza sovrumana, che a questo punto si rifugia su Kronos, il pianeta dei Klingon. Kirk guida allora l’Enterprise verso la zona proibita per catturarlo o ucciderlo.
Il film inizia e finisce a Londra, conferendo alla storia un interessante look urbano e diurno, ma si svolge comunque per la maggior parte nelle sale comando e motori dell’Enterprise, con tutto il corredo di bombardamenti spaziali e motori in avaria che ci si può aspettare.
Benedict Cumberbatch, che doveva essere il punto forte del cast, ha una presenza scenica eccezionale, ma si macchia di un inspiegabile overacting che va ben oltre il limite della caricatura (una volta tanto il doppiaggio potrebbe giovare). Chris Pine replica il Kirk donnaiolo, frenetico e coraggioso del primo episodio, aggiungendo qua e là delle note di incertezza, da Comandante alle prime armi, non banali. Mentre il Chekov di Anton Yelchin, e soprattutto lo Scotty di Simon Pegg, sono spalle comiche tradizionali ed efficienti.
In conclusione Into Darkness – Star Trek garantisce due ore di spettacolo efficace – anche se non propriamente vario -, ma è talmente “generico” nella sua proposta che, temiamo, sarà difficile distinguerlo dagli Star Wars di Abrams, una volta che usciranno anch’essi. Soprattutto, ha il difetto di usare eroismi e macchiette, lotte corpo a corpo e bombardamenti, con una tale meccanica frettolosità (la velocità con cui il dramma viene smontato nel finale è disarmante) che affezionarsi è difficile.
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Mi piace
Lo spettacolo è generoso, i colpi di scena ben studiati.
Non mi piace
Star Trek sta perdendo un po’ alla volta la propria specificità: di questo passo sarà difficile distinguerlo dagli Star Wars di Abrams.
Consigliato a chi
A chi aveva amato il primo Star Trek di Abrams, nel 2009, e si aspetta che si prosegua su quella strada.
Voto: 3/5
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