Non fossero bastati i primi due capitoli, ci si è messo anche The Avengers ad’innalzare al cielo la nomea del personaggio. Iron Man è diventato l’icona comics di questo ultimo ciclo, il leader occulto del plotone dei supereroi. Per questo realizzare il giusto epilogo della trilogia non è cosi semplice. L’arduo compito tocca a tale Shane Black, regista con all’attivo un solo precendete (Kiss Kiss Bang Bang) ma un discreto feeling da sceneggiatore che lo ha accostato a film cult a cavallo degli anni ’90 come i primi Arma Letale e L’ultimo Boyscout. Iron Man è la classica arma a doppio taglio: il confine tra enfasi e delusione è pericolosamente sottile.
Il pregio di Black è il portare con sè porta alcuni spunti action, che ovviamenti aggiornati all’epoca attuale, fanno di Iron Man 3 uno splendido fiore all’occhiello. Le scene ad effetto funzionano alla grande. Gli effetti, quelli speciali e sonori, sono sicuramente la parte più riuscita del film, quella che colpisce direttamente l’occhio e si lascia guardare a bocca aperta. Tony Stark è il pilastro sul quale costruire la storia attorno. Il suo carisma e il suo ego sono ad un livello talmente alto da metterne però in difficoltà, allo stesso tempo, il contorno. Per questo la strada scelta vede un cambiamento legato al protagonista: quando sei all’apice non puoi che scendere. Da questo, la decisione di vedere Tony uscito con le ossa, moralmente, rotte dai fatti di Avengers. Un uomo tanto forte e tutto d’un pezzo, cadere come un comune mortale. Il suo Io vacilla, le preoccupazione, il panico, prendono il sopravvento al punto da condizionare tutta la sua vita e non solo. In più si aggiungano Il Mandarino, un terribile nemico sconosciuto, e i conti col passato: Aldrich Killian e la bella Maya. Insomma, non solo instabile ma anche circondato.
Storia farcita su più fronti. Tanti personaggi che portano inevitabilmente ad una difficile gestione. Se però il comparto tecnico, le prestazioni dei singoli attori, è puramente sopra la media, quello che lascia un pò a desiderare è lo script sulla sceneggiatura. Se Robert Downey, negli ormai comodi panni di Tony Stark, è al top e la Paltrow è finalmente parte attiva, Ben Kingsley e Guy Pearce sono bipolari: ottime interpretazioni ridimensionate dal contesto del personaggio. Il Mandarino non è la nemesi di Iron Man e il tentativo di farne un rapporto più dark (alla Batman di Nolan per intenderci) non è neppure da prendere in considerazione. Su entrambi scorre un velo di incompiuto, un senso di mancanza lasciato dietro l’angolo.
Lo spazio a Stark copre ogni cosa. La scena è sua e la regge lui. Il suo lato comico vede raggiungere il tetto più alto proprio in questo capitolo. D’altro canto, Iron Man è principalmente (purtroppo?) questo: scena d’azione e momento comico. Su questo dogma, il film pone le fondamenta. Ma un analisi un pochino più approfondita non può sorvolare su diverse lacune di sceneggiatura, su qualche scena risparmiabile e su un’attesa forse troppo importante. Non aspettiamoci il “filmone” per poi uscire dalla sala con un senso di vuoto. Iron Man resta all’altezza dei precedenti capitoli, diverte, emoziona, ma niente più.