C’era una volta un bambino delle elementari che aveva talmente paura del pagliaccio di “IT”, dopo averlo solo intravisto nella pubblicità, che non solo non aveva poi guardato la miniserie televisiva con Tim Curry, ma ha anche continuato a non farlo fino all’età adulta, trincerandosi in un improvviso silenzio ogni volta che i suoi amici ne parlavano.
Oggi fortunatamente, grazie alla nuova versione cinematografica, non dovrà più confrontarsi con l’esistenza di quell’attempato adattamento!
Allo stesso tempo, avendo amato alla follia lo straordinario romanzo di Stephen King, il fanboy trentenne non può fare a meno di sottolineare le licenze che il film di Andy Muschietti si prende nel raccontare le gesta del “club dei perdenti”.
L’incipit di “Stand By Me”, un’altra novella di King su di un gruppo di preadolescenti, parlava chiaro: «non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni».. ma i legami che crei a quell’età possono essere indissolubili, specialmente se insieme ai tuoi amici ti ritrovi ad affrontare un mostro che si nutre delle vostre paure!
E’ questo, in due parole, il succo di “IT”: tutti ricordano la storiella horror del pagliaccio assassino, ma pochi si soffermano sulla forza evocativa che lo scrittore ha inserito al suo interno, volendo parlare in realtà della perdita dell’innocenza.
Il film del 2017, grazie all’ondata di revival anni Ottanta che sta invadendo il grande ed il piccolo schermo, è l’occasione giusta per raccontare daccapo questa storia alle nuove generazioni, senza perdere di vista la fedeltà allo spirito del romanzo.
La produzione ha scelto fin dal principio di concentrarsi soltanto sulle gesta dei protagonisti da ragazzini, senza alternarle alle vicende di loro stessi da adulti come invece fa il libro, ma che verranno poi sviluppate in una seconda pellicola che al momento non è stata ancora nemmeno pianificata.
L’altro grande cambiamento riguarda invece l’epoca in cui è ambientata la storia, se nel romanzo uscito nel 1986 gli eventi della prima parte si svolgevano durante l’estate del 1957, quindi al tempo dell’infanzia dello scrittore, il nuovo film li avvicina al 1989, in tempo per includere quegli elementi che creano la nostalgia nella labile mente del pubblico millenial e per poi poter ambientare il sequel ai giorni nostri.
Accettando queste due ed altre variazioni minori, ci si può momentaneamente rilassare, tra uno spavento e l’altro, e godersi i punti di forza di questo nuovo “IT”, che indubbiamente sono il cast e, di conseguenza, la caratterizzazione ed interazione dei personaggi.
Con ben sette giovani protagonisti il rischio era quello di non avere il tempo di sviluppare sufficientemente bene le loro personalità e invece, anche se un paio naturalmente spiccano sugli altri, tutti i “perdenti” hanno le loro buone ragioni per affrontare l’orrore: c’è il balbuziente Bill che ha di recente perso il fratellino minore ma è ossessionato dall’idea di poterlo ritrovare; l’incantevole Beverly, unica ragazza del gruppo, alle prese col diventare donna tra le attenzioni indiscrete di ogni maschio intorno a lei; l’esilarante Richie, interpretato da Finn Wolfhard di “Stanger Things”, praticamente un giovane attore prigioniero degli anni Ottanta!; il nuovo arrivato Ben, con una sensibilità che va oltre i suoi chili di troppo; l’ipocondriaco Eddie, soffocato da una madre iperprotettiva; il coraggioso Mike, ragazzino di colore alle prese col razzismo dei bulletti, ed infine il riservato Stan, sempre in bilico tra codardia e coraggio.
I ragazzi scelti per interpretare questi ruoli sono talmente ben assortiti e bravi a recitare che i momenti più leggeri, in cui si prendono in giro o si incoraggiano a vicenda, sono proprio quelli meglio riusciti e dipingono al meglio la bellezza dell’amicizia preadolescenziale che Stephen King ha così ben decantato sulla carta.
Il regista argentino Andy Muschietti è abile e furbo al punto giusto nel saper bilanciare le scene spaventose ed i momenti in cui il pubblico può tirare il fiato ed identificarsi coi ragazzini, ci riesce senza mai perdere il senso della misura e scadere nell’assurdo, nonostante il soggetto.
Il compito di far saltare il pubblico sulla poltrona è invece affidato al ventiseienne Bill Skarsgard, figlio di Stellan e fratello di Alexander e Gustaf, che interpreta la mostruosa creatura dalle fattezze clownesche con un accento diverso rispetto al suo predecessore televisivo: il suo Pennywise non è soltanto inquietante e terrificante, ma in qualche modo anche seduttivo verso le sue vittime, prima di scatenare in loro le più profonde paure le attira a sé con un sorriso gioviale.
Per dovere di trama, la creatura compare al suo pieno potenziale soltanto in pochi momenti, ma ogni assalto è ben confezionato e non scade mai nel ridicolo involontario nonostante un look pesante che
fortunatamente si rivela meno gotico di quanto le prime immagini viste mesi fa online lasciassero pensare.
Quindi il film funziona discretamente bene, seppur con qualche semplificazione di troppo e specialmente per chi riesce a seguirlo senza avere sempre il libro in testa, ma appunto il problema nasce dalla comparazione al materiale d’origine.
Stephen King, nonostante la sua fama di autore di best sellers,è in grado di portare la magia in ciò che scrive, creando atmosfere e sensazioni che entrano nel cuore e nella memoria dei suoi lettori, per non lasciarli più, ed è questo il motivo per cui è molto difficile riprodurre efficacemente le sue storie sullo schermo.
Infatti quasi tutti gli adattamenti cinematografici delle opere di King non sono i grado di ricrearne la magia, a partire dalla recente delusione per il filmetto su “La Torre Nera”, ma anche il geniale Stanley Kubrick aveva scelto una chiave diversa per adattare “Shining”, stravolgendolo meravigliosamente; non a caso le trasposizioni meglio riuscite sono state “Misery” e “Stand By Me”, entrambe sono storie in cui non è presente l’elemento soprannaturale.
Il dono innato dello scrittore penalizza dunque anche questo film che, forse per scendere a patti con tale deficit, sceglie di mostrare paure più di natura psicologica che basate sulle esperienze dei protagonisti, non a caso uno degli sceneggiatori è Cary Fukunaga di “True Detective”, e di non approfondire per il momento la natura “aliena” del mostro.
Ci sarà tempo per farlo nel seguito, che forse vedrà la luce nel 2019, e che ci auguriamo scelga di seguire la strada dell’approfondimento psicologico dei personaggi nella loro versione adulta, visto che “IT” ci insegna che i pericoli reali, come adulti violenti o repressivi che abusano dei ragazzi in modi diversi, possono essere molto più spaventosi di un clown che esce dalle fogne.
In definitiva il capitolo primo di “IT” versione contemporanea è un’operazione furba ma ben riuscita, con un pesante debito stilistico nei confronti del televisivo “Stranger Things”, che a sua volta è un astutissimo contenitore di suggestioni tratte da tutto ciò che richiama gli anni Ottanta, e fa venire da chiedersi se non avrebbe funzionato meglio sotto forma di serie tv, che in fondo è paradossalmente la nuova frontiera del racconto cinematografico.
Visto il nuovo record di incassi per un film horror ottenuto negli Stati Uniti e anche l’ottimo debutto nel primo giorno di programmazione in Italia, sembra proprio che siamo di nuovo disposti a farci terrorizzare dal pagliaccio Pennywise!
E per gli amanti del re del brivido ci sono tanti appuntamenti sul piccolo schermo da non perdere: dalla seriebasata su “The Mist”, all’originale “Castle Rock”, che ci auguriamo fortemente non si riduca ad essere un “Once Opon a Time” ambientato nell’universo di Stephen King, ed infine il film tratto da “Il Gioco di Gerald”, targato Netflix.
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