“You’ll float too”, “galleggerai anche tu”, ossia l’hashtag della prima trasposizione cinematografica del capolavoro di Stephen King del 1986(dopo la miniserie dimenticabile del 1990 se non per l’interpretazione divenuta ionica di Tim Curry) , rende bene l’idea di un film che appunto rimane come sospeso, galleggiante, tra il genere horror e il romanzo di formazione, tra paura e divertimento, che spesso e volentieri si mischiano e confondono l’una con l’altro in un macabro black humor, elemento quasi sempre presente anche nelle scene più dark. Il regista argentino Andrés Muschietti ci riporta nell’insulsa Derry, cittadina simbolo della provincialismo americano, non più negli anni 50 (per ragioni produttive più che altro), bensì, seguendo la scia di una tendenza iniziata con “Super 8” di J.J. Abrams ( con il quale l’IT di Muschietti ha molti punti in comune, a partire dal gruppo di ragazzi unito nella lotta contro “il mostro”) e oramai consacrata con la serie Netflix Stranger Things, nel 1988, in quei mitici anni 80 che hanno segnato la cultura pop del cinema di cassetta, e che regalano una continua ripetizione e ripresa di immagini iconiche: una sopra tutte la corsa in bicicletta, battezzata dall’ET di Spielberg. Proprio al Finn Wolfhard di Stranger Things e a tutta la crew del Losers’ club va il merito maggiore per averci dato il gruppo di perdenti migliore di sempre, frutto di una genuina e sincera interpretazione di giovani attori ( che il doppiaggio italiano ahimè sminuisce e non poco), che reggono senza intoppi tutti i 120 minuti della pellicola in un susseguirsi di gag, battute, litigi e momenti di gruppo, la cui leggerezza smorza in maniera intelligente le scene horror, regalandoci amicizie e prime cotte che trasformano la paura in sorriso( i personaggi sono tutti ben scritti e caratterizzati). Notevole é anche il Pennywise dalle sembianze barocche e dagli atteggiamenti infantili al quale Bill Skarsgard riesce a dare un’interpretazione originale e spaventosa ( del tutto diversa da quella di Tim Curry nella miniserie del 1990), soprattutto grazie ad un vera e propria disturbante mimica facciale, in particolare nel movimento delle labbra e degli occhi, che ruotando quasi meccanicamente, provocano grande paura e angoscia, e ad una voce che da acuta e bambinesca diviene grave e mostruosa ( indimenticabile la scena iniziale). Il film nel contesto é sicuramente riuscito, perché pur distaccandosi in parte dal romanzo di King, riesce comunque a coglierne lo spirito e il messaggio, ossia il superamento delle proprie paure, la crescita, l’amicizia e il mondo degli adulti visto dagli occhi dei bambini, come qualcosa non solo di distante ma forse di ancora più pauroso e mostruoso dello stesso Pennywise, in quanto probabilmente più reale e più vicino. Bravo é infatti Muschietti a rappresentare gli adulti come mostri, figure ambigue e malate, non in grado di comprendere il mondo e le preoccupazioni dei figli, ma immerse nelle proprie perversioni. Per quanto riguarda le sequenze horror, nonostante un ampio uso se non abuso del “Jump scare”, l’esito é quasi sempre riuscito in quanto molte parti assumono quasi un tono tragicomico e più di una volta si balza dalla poltrona per l’effetto sorpresa, anche grazie a dei buoni effetti visivi che lasciano invece un po’ desiderare in qualche mal riuscita inquadratura con il CGI, dove la presenza del green screen é palese. La suddivisione della vicenda in due ( scene con e senza IT) risente di un montaggio a volte forzato, con improvvisi e radicali stacchi da una sequenza all’altra che possono o meno piacere, ma che a mio parere risultano eccessivi, scaglionando il film in comparti. Molto bella e azzeccata invece la fotografia, che fa uso di colori fortemente contrastanti tra le scene all’aperto e diurne inondate di luce e quelle al chiuso o notturne dove la scala cromatica diviene più satura e scura, e la colonna sonora, fondamentale per la riuscita dello spavento, con la icastica melodia infantile e nataliza. Pur rimanendo quindi un blockbuster, finalizzato alla vendita su larga scala, IT risulta essere un film molto interessante e piacevole sotto vari aspetti, sia per i temi trattati che per la realizzazione della pellicola, capace di unire appunto il sorriso allo spavento, in modo semplice ma efficace, lasciandoti con un misto di gioia e tristezza e senza alcun dubbio con un sentimento di grande affetto e vicinanza per quel Losers’ club di cui é impossibile non innamorarsi. ( per coloro che riescono a coglierlo c’é un easter egg abbastanza esplicito al film “Harry Potter e la Camera dei segreti”)
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