Dopo oltre 20 trasposizioni fra cinema e televisione e persino un musical a tema, l’immortale romanzo nato dalla penna di Charlotte Brontë nel lontano 1847 rivive ancora una volta sul grande schermo grazie al giovane Cary Fukunaga (al suo secondo lungometraggio dopo l’acclamato “sin nombre”), che senza timore di sfidare la pesante eredità di Orson Welles e Franco Zeffirelli confeziona un prodotto di grande suggestione ed eleganza.
La sceneggiatura di Moira Buffini, determinata a svecchiare il testo originale e ad amplificare le potenzialità gotiche del racconto, trova nella scelta del flashback la chiave di volta ideale per un racconto sensibile e appassionata: alla dickensiana infanzia fatta di stenti, lutti e umiliazioni sofferta dalla nostra eroina sono così riservate poche ma significative istantanee, impresse nel ricordo di una giovane donna dal carattere risoluto che cerca la libertà dalla gabbia in cui sfortunate circostanze l’hanno relegata.
Pallida creatura delle fiabe che non ha mai visto una città nè parlato con un uomo, con pochissima esperienza del mondo ma senza paura di abbracciarlo, questa nuova Jane si lascia amare con facilità senza chiedere niente in cambio: una grande occasione per Mia Wasikowska, pronta finalmente a lasciarsi alle spalle i suoi trascorsi da Alice Burtoniana reggendo praticamente da sola buona parte della pellicola, perennemente in equilibrio fra il compìto autocontrollo della rettitudine e un desiderio di indipendenza che la guida verso la più bruciante delle passioni. .
L’anima gemella è forse troppo affascinante nei gentili tratti di Michael Fassbender, ma il suo magnetico Edward Rochester possiede il carisma e l’ambiguità necessari a un eroe romantico che non manca mai di luce e oscurità, capace di attraversare le barriere del tempo e del sogno e degno delle più tormentate prove dell’attore tedesco(dal ribelle pittore Esme di “Angel” al Carl Gustav Jung di “a dangerous method”).
Ad accompagnare un cast fresco e giovane che fra l’altro può contare su un ottimo Jamie Bell nei panni dell’arrogante reverendo Saint John Rivers l’inattaccabile Judi Dench, perfettamente a suo agio nei panni della governante Mrs Fairfax come in quelli della Regina d’Inghilterra.
Senza dubbio ispirato dalla freschezza di “orgoglio e pregiudizio” di Joe Wright, Cary Fukunaga segue con attenzione l’esempio del regista inglese non solo in alcune soluzioni narrative( le lunghe passeggiate in giardino di Jane non possono non ricordare quelle di Elizabeth Bennet, come la scelta di proporre un finale tronco e non totalmente rivelato) ma anche nella colonna sonora: il premio Oscar( e collaboratore di lunga data di Wright) Dario Marianelli ci regala un lavoro che ricorda lo stile di James Newton Howard per “the village” di Shyamalan, affidando al violino di Jack Liebeck il compito di cantare la voce dell’anima della protagonista. Fra stanze segrete e cupi corridoi che si stringono sui personaggi trasformando Thornield Hall in un vecchio castello sinistro e misterioso come mai prima(complice l’impeccabile fotografia di Adriano Goldman), la Jane Eyre di Fukunaga è la prova di come un classico del passato riesca con assoluta tranquillità a dialogare col presente.