Jersey Boys: la recensione di marialaura87
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Jersey Boys: la recensione di marialaura87

Jersey Boys: la recensione di marialaura87

È la stretta di mano stile New Jersey che si scambiano Frankie Valli (John Lloyd Young) e Bob Gaudio (Eric Bergen), per sigillare la loro nuova e più profonda collaborazione a due, a stabilire il “confine” entro cui si muove l’ultimo film di Eastwood.
Quello del quartiere è un microcosmo che ha leggi proprie, dove i boss mafiosi (meraviglioso Christopher Walken) ti spingono a coltivare il tuo talento, i celerini sono degli amici, i negozi sono tutti da svaligiare, e i locali grandi trampolini di lancio per chi, da quel quartiere, vorrebbe prima o poi andarsene, probabilmente senza mai riuscirci davvero.
La vita di Tommy (Vincent Piazza) e Nick (Michael Lomenda) si muove tra piccoli furti e serate sul palco, a seguirli a ruota c’è il giovane Frankie, che ha solo 16 anni, ma un talento che gli altri non potranno mai neanche sognarsi. Ecco che la prima vera possibilità di fare musica arriva con il Variety Trio, è Tommy il leader, ma ben presto dovrà lasciare il posto a Frankie, che lo convincerà anche a far entrare nel gruppo Bob (sarà l’autore dei testi che li faranno conoscere al mondo) diventando i Four Lovers prima ed infine i The Four Season.
E grazie al produttore Bob Crewe (Mike Doyle), che li costringerà per un anno a fare da coristi a cantanti già affermati, arriveranno ad essere il primo gruppo americano con una loro canzone prima in classifica, per tre volte consecutive.
Quello che ci viene raccontato, inframezzandolo con canzoni della band (tutte dal vivo, non a caso 3 dei 4 attori principali sono gli stessi che portano in scena il musical di Broadway), è la storia di come questo quartetto si sia composto, e di come non sia stato in grado di rimanere unito.
Il caratteraccio di Tommy (e le sue strane abitudini con gli asciugamani), i debiti, la distanza dalla famiglia, e dal quartiere, lo stress, i viaggi, la fatica, le serate alla tv, diventeranno impossibili da sopportare.
Inizierà allora la carriera solista di Frankie, con Bob a fargli da autore; una delle scene più belle del film è proprio quando, poco dopo aver seppellito la figlia, che non è riuscito a salvare, Frankie si commuove di fronte agli applausi scroscianti del pubblico dopo la sua interpretazione di Can’t Take My Eyes Off of You, da solo, sul palco.
Ripreso dal Musical, anche se un musical non è (e forse questo è un problema), la narrazione è affidata agli stessi protagonisti, che si rivolgono direttamente al pubblico (abusandone un pochino). La splendida colonna sonora tocca tutte le hit e le canzoni più conosciute della band, tralasciando qualche classico, che avrebbe fatto piacere ascoltare.

Nel complesso però, si ha però la percezione che manchi qualcosa: molte dinamiche e relazioni personali sono solamente accennate, quando in film che raccontano di leggende, è proprio la vita vera, quella lontana dai riflettori, che si vorrebbe vedere raccontata.
Come canta Frankie nel film I Can’t Give You Anything, But Love, beh io in questo film ne avrei voluto di più, di amore.

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