La propria citazione in un fotogramma da “Rawhide” lascerebbe supporre che Clint abbia usato lo script come metafora di se stesso per un tentativo di racconto autobiografico attraverso degl’alter-ego. I “Four Season” narrano le 4 stagioni d’una vita standard, nell’arte (pubblica) quanto nella vita (privata): gavetta, successo, fallimento, nostalgica rimembranza. La poetica del grande sogno, americano e non, con le sue illusioni e delusioni. Ma troppe cose non quadrano: quale interesse generale possono avere il quartiere d’origine nel New Jersey, l’armonie corali del doo-wop in canzoni sentimentali e sdolcinate, il falsetto del protagonista, l’atmosfera scorsesiana, il Walken mafioso buonista e un taglio di regia impavidamente fiero d’essere anacronistico, classicheggiante, tradizionale? “Da qualunque prospettiva lo si valuti, che sia un musical, una commedia, un gangster movie, un film drammatico o tutte queste cose messe insieme, rimane uno sforzo modesto”, tiepido e annacquato. 53% su RT, apprezzato invece qui da noi.
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