John Carter: la recensione di Gabriele Ferrari
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John Carter: la recensione di Gabriele Ferrari

John Carter: la recensione di Gabriele Ferrari

C’è una frase che, per prudenza, dovrebbe campeggiare sulla locandina di questo film: «Dimenticate tutto quello che sapete di John Carter». Il nuovo kolossal targato Disney, infatti, è ispirato a una storica serie di romanzi di fantascienza, pubblicati cento anni fa (la prima storia risale proprio al 1912) a firma Edgar Rice Burroughs – alias l’inventore di Tarzan –, ma se dovessimo valutare John Carter basandoci su quei libri potremmo chiudere qui la recensione con una stroncatura netta e passare oltre. Commettendo un errore marchiano.

Sotto le lune di Marte, Gli dèi di Marte, Il signore della guerra di Marte: questi i titoli della saga che troverete citati e mescolati in un unico polpettone nel film diretto da Andrew Stanton (Wall•E). Citati, ma riadattati e plasmati secondo le esigenze cinematografiche di un film Disney. Dove i romanzi raccontavano Marte come un mondo selvaggio e violento, in cui ogni relazione è guidata da rigide tradizioni e non da sentimenti di umanità e compassione, il film opta invece per la direzione Pirati dei Caraibi, trasformando la violenza in coreografia e la durezza dei guerrieri marziani in caricaturalità. I presupposti, almeno, rimangono gli stessi: John Carter è un veterano della guerra di secessione americana che si ritrova, in modi piuttosto misteriosi, catapultato sul pianeta rosso, dove scopre di essere dotato di forza e agilità incredibili – tradotto: è un guerriero imbattibile ed è in grado di spiccare balzi di centinaia di metri. E siccome Marte è in guerra, gli indigeni – una razza di esseri verdi con quattro braccia, e un’altra pericolosamente simile agli esseri umani – vedono in lui l’arma definitiva in grado di spostare gli equilibri del conflitto, e fanno di tutto per accaparrarsene i servigi. Lo scopo di Carter, invece, è molto più semplice, almeno sulle prime: tornare sulla Terra il prima possibile.

La carne al fuoco è tanta, e Stanton decide di cuocerla a fuoco lento: oltre due ore di film in cui John Carter, eroe a petto nudo con la faccia da fotomodello di Taylor Kitsch (fu Gambit in X-Men: Le origini – Wolverine), viaggia di città in città e di galera in galera, saltando edifici e trovando anche il tempo di innamorarsi della principessa Dejah (Lynn Collins, anche lei reduce da Wolverine, dove era la “moglie del soldato” Kayla Silver Fox). In ultima analisi è la loro storia d’amore che muove ogni evento del film, di fatto scritto e strutturato come un fantasy degli anni ’80, tra guerre, profezie e un gruppo di misteriosi esseri che governano il destino dell’universo. È proprio in questo approccio che John Carter prende le distanze dalla fonte letteraria, preferendo allestire un baraccone coloratissimo e ritratto con maestria (e qualche tocco di genio) da un talento come Andrew Stanton. Fotografia, effetti speciali e regia sono il punto forte del film, che altrimenti oscilla tra l’anonimo e il cialtronesco, senza rinunciare però a quell’autoironia che è àncora di salvezza per un prodotto del genere. Ritorna il paragone con i Pirati dei Caraibi e Star Wars: certo Kitsch non ha il talento di Johnny Depp, né Willem Dafoe in versione marziano con quattro braccia può essere un valido sostituto di Harrison Ford, ma dove latita il carisma arriva la CGI, che dà vita a un Marte sontuoso e mozzafiato, fatto di antiche città in rovina, palazzi inondati di luce e sterminate distese desertiche. Uno spettacolo per gli occhi, un anestetico per il cervello e una favola archetipica – ai limiti della banalità – per il cuore: se vi basta, John Carter vi aspetta su Marte.

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Mi piace
Visivamente a livelli stellari (non è una battuta). I combattimenti sono spettacolari e ben coreografati, e ogni tanto un dialogo brillante fa scattare il sorriso.

Non mi piace
Il completo tradimento del materiale originale. La scrittura, fin troppo standard, scade spesso nella banalità.

Consigliato a chi
Apprezza la fantascienza vecchi(ssim)o stile, quella che si preoccupava poco della parte “-scienza” ed era più interessata al “fanta-”.

Voto: 3/5

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