John Carter: la recensione di Parker85
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John Carter: la recensione di Parker85

John Carter: la recensione di Parker85

John Carter è il film che aspettavo: lo aspettavo, con una certa dose di ansia, non lo nego, perché il primo del ciclo di romanzi di Edgar Rice Burroughs, Sotto le lune di Marte, è forse l’ unico libro ad aver colpito a tal punto il mio immaginario tanto da obbligarmi a rileggerlo più e più volte; lo aspettavo perché dal ciclo di Marte, negli anni, hanno attinto a piene mani sceneggiatori e registi che, ottenuta la giusta ispirazione, hanno confezionato prodotti spesso di grande successo.
Aggiungerei che John Carter è il film che, a grandi linee, mi aspettavo di vedere: non che mi aspettassi un completo disastro, certo, ma uscire dalla sala con un nutrito senso di soddisfazione andava ben oltre le mie più rosee previsioni sapendo quanto rischioso fosse questo progetto e quante possibilità avevo, da grande amante dell’ opera letteraria, di rimanere deluso da un prodotto potenzialmente non conforme alle mie aspettative.
L’ adattamento cinematografico di Stanton trae spunto, oltre che dal primo dei romanzi di Burroughs, anche dal secondo (Gli Dei di Marte) e dal terzo (Il signore della guerra di Marte) ma nel complesso è una contaminazione delle vicende dei tre, adattati alle esigenze di narrazione del regista a seconda del caso: se, per fare un esempio, non vengono approfonditi gli stili di vita sociali e le usanze dei Thark (i verdastri alieni nativi con sei arti) che si basano sulla violenza e sulla guerra in una specie di società comunista in cui tutto appartiene a tutti (figli compresi), in altri, attraverso mirabili sequenze ricostruite quasi fedelmente rispetto quanto narrato sulla carta (per citarne un paio, quando Carter, appena giunto su marte, si trova a fare i conti con la bassa gravità del pianeta rimbalzando letteralmente passo dopo passo, oppure quando, poco dopo, Tars Tarkas, lo Jeddak dei Thark, con veemenza intima al protagonista “sak!” cioè salta!) Stanton dimostra di essere esperto conoscitore del personaggio e di averne colto gli aspetti principali, privilegiando una narrazione rivolta anche a chi i libri non li ha mai letti ma, per meglio comprendere il film, potrebbe sicuramente avvicinarsi al personaggio cartaceo.
Un film con un suo stile ed una struttura ben definita, che indubbiamente si basa sul modello di fantascienza di cent’ anni fa che, però, funziona ancora piuttosto bene e, con i giusti accorgimenti ed escamotage narrativi, rimane attuale ed originale (l’errore di pensare di non aver visto nulla di nuovo è dettato dal fatto che quasi ogni opera della fantascienza contemporanea, come detto precedentemente, ha anche in minima parte preso spunto dal ciclo di Marte); un film rivolo al grande pubblico, non necessariamente di una particolare fascia d’età, come testimoniano alcune delle cruente scene, di natura quasi splatter, in cui volano arti, teste e tanto sangue che essendo però di pigmentazione blu e non vermiglio come quello umano alleggerisce di molto la violenza delle stesse.
Un plauso è da tributare soprattutto ai tanti tecnici che hanno lavorato al progetto, i quali hanno dato forma e vita a creature e luoghi di Barsoon, grazie, va detto, alle descrizioni ricche di particolari che l’ autore ha fornito nelle opere, che, comunque, sono stati/e riprodotti più che fedelmente, come i thoat (le cavalcature di terra dei Thark) o il tenerissimo, simpatico e velocissimo cucciolone Woola, le scimmie biance di Barsoon eccetera.
Un appunto negativo, invece, sono costretto a farlo alla colonna sonora di Michael Giacchino, i cui temi ricorrenti spesso troppo armoniosi ed idilliaci, quasi fiabeschi, che poco si adattano alle migliori scene d’ azione, troppo poco sottolineano l’ ardore dei feroci scontri; se alcuni degli score avessero seguito il modello dei grandi accompagnamenti stile Signore degli Anelli o anche Pirati dei Caraibi di certo il film ne avrebbe guadagnato.
Inutile dire che in questo, come in molti lungometraggi targati Disney, si percepisce il famoso adagio che decenni fa Walt in persona formulò: “I don’t make movies to make money; I make money to make movies. Tradotto, Disney, Stanton & co. hanno fatto del loro meglio, a mio parere riuscendo nell’ impresa, per portare sul grande schermo il grande protagonista di una grande epopea letteraria semplicemente per il gusto di farlo, per dare al pubblico un personaggio letterario da loro molto amato ed in generale molto apprezzato negli States che, se finora non aveva ricevuto la giusta attenzione cinematografica, comunque si meritava l’ opportunità di un film, soprattutto ora che tempi e tecniche erano maturi al punto giusto; ed il budget di 250 milioni ne è la grande conferma, indipendentemente dall’ esito che il lungometraggio avrà al boxoffice.

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