John Wick 3 - Parabellum, la recensione
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John Wick 3 – Parabellum, la recensione

Il terzo capitolo del franchise action dedicato all'indistruttibile killer interpretato da Keanu Reeves è senza dubbio il migliore della saga

John Wick 3 – Parabellum, la recensione

Il terzo capitolo del franchise action dedicato all'indistruttibile killer interpretato da Keanu Reeves è senza dubbio il migliore della saga

John Wick 3 - Parabellum
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (3)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (4)
Montaggio (4.5)
Colonna sonora (4)

John Wick (Keanu Reeves) è in fuga per due ragioni: una taglia di 14 milioni di dollari e per aver infranto una delle regole fondamentali, uccidere qualcuno all’interno dell’Hotel Continental. La vittima infatti era un membro della Gran Tavola che aveva posto la taglia su di lui. John avrebbe dovuto già essere stato eliminato, ma il manager dell’Hotel Continental gli concede un’ora di tempo prima di dichiararlo ufficialmente “scomunicato”. John dovrà cercare di restare vivo, lottando e uccidendo, in cerca di una via d’uscita da New York City.

La saga di John Wick, giunta con Parabellum al suo terzo film, ha raggiunto un grado di godimento fisico ed estetico sempre più marcato, che in quest’ultimo capitolo raggiunge un tasso di adrenalina ancora più folle ed estremo. Di action movie così in grado di spingere sul pedale dell’acceleratore e su un’idea di mondo aggressiva e apocalittica non se ne girano poi tanti (anche se naturalmente Mad Max: Fury Road di George Miller, qui peraltro evocato, ha fatto storia a sé). E nemmeno con questa forza e questo dinamismo ipercinetico e sensazionale, che coniuga botte da orbi a mani nude ma anche coltelli lanciati a mille all’ora, nei genitali e nella pancia, in testa e negli occhi. In un body counting da perdere la testa che non mette mai e poi mai il pallottoliere in ghiaccio.

John Wick 3 – Parabellum porta dunque a compimento l’eredità dei due precedenti film regalando ai fan dell’inossidabile assassino interpretato da Keanu Reeves un’orgia di scazzottate ancora più selvaggia del solito e ne viene fuori a mani basse come il migliore del franchise. Non solo per la capacità di insistere tantissimo sul piano grafico mantenendo intatta la quadratura audiovisiva di un b-movie di rara barbarie e ancor più marcata demenza, ma anche per l’abilità di lavorare sui diversi ambienti e sui vari fondali come fossero capitoli di un’unica installazione videoludica, come segmenti di un racconto costruito e pensato a livelli, ovviamente sempre più parossistici e al limite.

La regia di Chad Stahelski, regista del secondo episodio e con un passato da stunt-man, porta poi le evoluzioni dei suoi corpi e gli scatti omicidi di John Wick a essere il più performanti possibile. Nonostante la prolissità dell’intreccio spionistico e la sovrabbondanza del minutaggio, il film si bea di se stesso e si lascia godere dallo spettatore dal primo all’ultimo minuto, con un lavoro sul sonoro davvero millimetrico e un gusto rozzamente letterario nei dialoghi, che accresce le occasioni di divertimento e di grasse risate e le affianca alle scenografia barocche, ai colori perlacei e accesissimi, alla malinconia spiazzante della tante tonalità di blu e bianco che affollano lo spettro visivo, esaltate da una color correction priva di mezze misure, e a quella del personaggio di Halle Berry, assassina da tragedia greca prestata al fumettone, unica ancora di salvezza per il protagonista.

Parabellum, chiaro riferimento al motto latino Si vis pacem para bellum (“Se vuoi la pace prepara la guerra”), ha infatti una sensibilità “filosofica” tutta sua, che fa a pugni – letteralmente – con i fendenti mortali di un killer indistruttibile che, a dispetto della capacità di sopravvivere a tutto e tutti, ritroviamo sempre più debole e solo. Da John Wick a John Weak il passo è più che mai brevissimo, così come altrettanto esile è il confine tra l’eccitazione e il baratro della disperazione in questo viaggio verso il paradiso che, ovviamente, comincia all’inferno e si sofferma sul bisogno cruciale di uccidere quello che si ama, sulla necessità di seguire le costellazioni (leggasi: il proprio destino) fino a esplodere di gloria o lasciarsi polverizzare da un brivido di morte.

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