John Wick 4: la saga action con Keanu Reeves tocca il suo forsennato e indiavolato apice. La recensione
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John Wick 4: la saga action con Keanu Reeves tocca il suo forsennato e indiavolato apice. La recensione

John Wick trova una via per sconfiggere la Gran Tavola, ma prima di guadagnare la libertà deve affrontare un nuovo nemico che ha potenti alleanze in tutto il mondo e ha mezzi tali da tramutare vecchi amici in nuovi nemici: da oggi nelle sale il quarto capitolo della saga action

John Wick 4: la saga action con Keanu Reeves tocca il suo forsennato e indiavolato apice. La recensione

John Wick trova una via per sconfiggere la Gran Tavola, ma prima di guadagnare la libertà deve affrontare un nuovo nemico che ha potenti alleanze in tutto il mondo e ha mezzi tali da tramutare vecchi amici in nuovi nemici: da oggi nelle sale il quarto capitolo della saga action

John Wick 4
PANORAMICA
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Fin dal primo film a lui dedicato, John Wick del 2014, il killer anti-eroe interpretato da Keanu Reeves si è imposto come una delle maggiori icone action del cinema contemporaneo: una maschera implacabile e sanguinaria, con alle sue spalle un passato segnato da gravi perdite e sofferenze, dagli abusi infantili subiti dal padre violento alla morte della madre, passando per una vita militare sperimentata fin da giovanissimo. 

A fare la fortuna di John Wick sono stati fin da subito anche certi set pieces, ovvero sequenze in grado, da sole, di rubare la scena e stagliarsi nella memoria dei fan e del pubblico, come l’inseguimento in discoteca del primo film. Il body counting eseguito da John, che come leggenda vuole conoscere 10.000 modi diversi per uccidere un uomo, si è andato facendo via via più esasperato e l’assassino, emissario di dannazione eterna, è coinciso con un’ultra-performante macchina della morte: un cyborg post-umano calato in un universo criminale ipertrofico, che ha il sapore del crocevia tra le arti marziali (si ricordi l’uso memorabile dei coltelli) e il design d’alta moda dai colori accesissimi. 

Dopotutto le fonti d’ispirazione di John Wick sono state sempre all’insegna del sincretismo tra Oriente e Occidente, che ritorna di prepotenza, deflagrando definitivamente, anche in questo quarto film: Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone come The Killer di John Woo, I senza nome di Jean-Pierre Melville e i film di Friedkin, Peckinpah e Akira Kurosawa, tutti dentro il medesimo frullatore che li trasfigura gioiosamente al ribasso in coté da b-movie, in grado di tenere insieme anche i miti greci e Zatōichi, proprio a non voler farsi mancare davvero nulla.

In John Wick 4, oltre alla new entry Donnie Yen, totem di riferimento del genere wuxiapian e star di Ip Man, c’è anche una Radio Wuxia, a esplicitare l’omaggio a caratteri cubitali ma ad accogliere dentro di sé anche lo sberleffo e la parodia: un inside joke che, sotto il profilo pratico, serve a tenere aggiornati i cacciatori di taglie sugli spostamenti francesi di John, per non parlare del dj che che intima ai sicari di Parigi a dare la caccia a Wick e che tallona le sue peregrinazioni negli arrondissement della capitale, rimandando espressamente a un insuperato cult del neo-western urbano e metropolitano come I guerrieri della notte di Walter Hill, del 1979.

John Wick 4, ulteriore tappa di una saga inizialmente pensata soltanto come una trilogia e diretto nuovamente da Chad Stahelski, è stato girato tra il Giappone – c’è Osaka, dove si consuma uno scontro campale e parossistico dentro un altro, ennesimo Hotel Continental, location cara al franchise -, New York, la già citata Parigi e la plumbea Berlino (con le sue due ore e cinquanta di durata, è non a caso il film di John Wick più lungo in assoluto). 

Stavolta il killer è chiamato a trovare una via per sconfiggere la Gran Tavola, che governa e legifera sui precari equilibri del cosmo, ma prima di guadagnare la libertà Wick deve affrontare un villain inedito che ha potenti alleanze in tutto il mondo e strumenti tali da tramutare vecchi amici in nuovi nemici (a interpretare il cattivone di turno, il Marchese de Gramont, troviamo Bill Skarsgård, già Pennywise in IT, definito dall’attore stesso il “nuovo sceriffo in città”) .

Da quasi tutti i punti di vista John Wick 4 porta alle estreme conseguenze, per gigantismo ed esibizione muscolare, tutti i connotati accumulati dalla saga fin qui, con uno sfoggio di mezzi e un’ambizione giunti naturalmente a un sommo grado di perfezionamento ma anche di logorio e sfibramento per i non adepti. Per gli affezionati duri e puri, invece, il godimento è spinto alle soglie del rendez-vous orgiastico. 

Si chiama a raccolta un assolutismo dalla caratura bigger than life, in cui la densità della sceneggiatura starebbe larga sul retro di una scatola di fiammiferi e le arti marziali sono un dispositivo per spingere le immagini e i corpi a chiedere sempre qualcosa in più agli spettatori in termini di sforzi adrenalinici e adesione fisica. Alla luce di tutto ciò si tratta, senza dubbio, dell’apice forsennato e indiavolato della nozione di ciclo a misura di stunt portato avanti da Stahelski (si veda ad esempio la sequenza, letteralmente senza senso, intorno all’Arco di Trionfo).

Per certi versi siamo dalle parti del surrealismo, del puro gesto sganciato dal senso più immediato, e John è sempre più un’emanazione distillata, un ingranaggio che non conosce requie né consolazione. I cattivi e suoi avversari lo chiamano Baba Yaga, evocando la mitologia della strega incantatrice e guerriera che, in una delle identificazioni fornite dal linguista e antropologo Propp, veniva combattuta dagli eroi delle fiabe «non per la vita ma per la morte», come viatico per accedere a un altro livello di maturità. 

Un’evoluzione che sicuramente al franchise di John Wick non interessa affatto, in quanto giocattolo ludico e sfrenato che in questo caso amplifica anche il piacere del detour e della digressione infinita rispetto alla resa dei conti, mentre l’idea cinetica assoluta che lo muove, ed esclude la vita degli esseri umani e dei personaggi per abbracciare un loop mortifero, è invece decisamente inscritta nel testo e nel suo portato. Ed è forse il più flagrante motivo d’interesse di una visione della (non) corporeità e del superomismo che non ha praticamente eguali nel panorama del cinema d’azione odierno (tanto che l’associazione wickweak, cioè “debole”, fa più che mai sorridere, altro che nomen omen), e che sembra maneggiare l’estasi e la vertigine delle “mazzate” senza fine con lo stesso radicalismo di un’installazione da museo d’arte contemporanea totalmente ipnotica e auto-sufficiente.

Foto: Thunder Road Films, 87North Productions

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