Joy: la recensione di loland10
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Joy: la recensione di loland10

Joy: la recensione di loland10

“Joy” (id., 2015) è il nono lungometraggio del regista David O. Russell.
Il cinema del regista newyorkese è messa in scena in minore o in eccesso, è minimo travestimento in sotterfugi continui nel divenire quotidiano o perditempo tra glamour impasti e cadenze forti di personaggi vivi tra un’America strampalata e una fuga indecorosa verso un successo plastificato.
In questo film riappaiono difetti e pregi di una regia adeguata al cast ma che disperde in lungaggini e giri di camera tante situazioni che lasciano lì il pubblico a guardare qualcosa di quasi detto primo. Ciò che la scrittura langue in lungaggini avvertibili in situazioni di calma (e sonnolenza) la regia accelera (per dirla a breve intermittenza) per un passo alla volta ad ogni dibattito familiare o forestiero per riannodarsi con compiaciuti rimando a ciò che vorresti ma succede troppo tardi (almeno credi).
L’invenzione del ‘mocio’ (‘miracle mop’) che non si strizza è alquanto una (vera) boutade per un cinema di (para)televisione dove il gusto del successo fa andare a giuggiole la programmazione pomeridiana dove si vende tutto e anche il resto delle tele-novelas in disarmo che la mamma di Joy non riesce proprio a perdere. Ci si stacca dal mondo (ir)reale per entrare direttamente in quello reale(ity). Che goduria essere davanti al piccolo schermo (mentre noi guardiamo il grande) per cercare proseliti e telefonate al numero ics da raggiungere …. che strana goduria avere la tv al centro mentre un vivo sotto lo schermo (l’ex marito nel semi-interrato), una vive dentro lo schermo (la mamma persa e perduta) e una gioiosa inventrice è dentro uno studio soap-izzato per sbarcare il lunario di un sogno oltre confine che corre lungo i fili del 999…

Joy (Mangano) appare asettica e con mordente credibile più di quello che il regista inquadrano quasi superiore ad ogni resoconto filmico per dare il senso a quello che vuole raccontarci. Una donna americana che vuole sbarcare il lunario con ‘invenzioni’ minime e senza senso rinchiusa nel suo microcosmo di problemi (da quelli familiari a quelli economici) con un padre (Rudy) che bada al sodo con la sua ‘strana officina’ vicina a un ‘poligono di tiro dove gli scoppi e le pallottole paiono un delitto (morale) per una vittoria sul soqquadro di casa Mangano: la confusione delle menti. Il rovescio dei mondi finti e della vita reale.

Omaggio ad una provincia reietta e di basso livello, dove ogni ruolo è simbolicamente interfacciato con il piccolo schermo, il nucleo abitativo Mangano è un impasto sfilacciato e trasandato dove ogni discorso pare vano e ogni incontro sembra quello giusto: un’amicizia, un matrimonio, una firma, un investimento, un fallimento e (chi sa) una corsa in alto (con gli occhiali-solari e il passo giusto).

Yes è sempre ammiccante per una donna che vuole arrivare fino in fondo. Il cinema di Russell tende (più volte) alla lungaggine ‘accomodante’ e ‘virtuosamente’ laconica con gli attori compiacenti allo script. Questa corrispondenza (asimmetrica) tra regia e cast sembra lasciare campo libero alla recitazione e ad ogni circolo di ritrovo (camera o ufficio, salotto o studio).

Jennifer Lawrence (Joy), Robert De Niro (Rudy), Bradley Cooper (Neil) e Isabella Rossellini (Trudy) danno il là ad una pellicola che tende al dettaglio di racconto in ogni dove con un montaggio scarno e quasi assonnante. Un vizio di forma o un difetto di pregio per un ‘lava-pavimenti’ che s’accende dentro solo in piccoli dosi e una televisione che prende il sopravvento nel propinarci ‘una-televendita’ accomodante per arrivare a due ore di proiezione (che sembrano francamente eccessive).
Il regista fa il suo mestiere in modo discreto ma (per chi scrive) aveva fatto di meglio in altre pellicole (‘The Fighter’ e ‘American Hustle’ ad esempio).
Voto: 6½/10.

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