Jurassic World: Il regno distrutto: la recensione di loland10
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Jurassic World: Il regno distrutto: la recensione di loland10

Jurassic World: Il regno distrutto: la recensione di loland10

“Jurassic World. Il regno distrutto (Jurassic World: Fallen Kingdom, 2018) è il quarto lungometraggio del regista spagnolo Juan Antonio Bayona.
Finalmente (si fa per dire) arriva il film ‘main-stream’ che da foga e voglia per distruggerlo dal punto di vista cinematografico. E per togliersi molti sassolini dalle scarpe. E da qualche giro fugace qualcuno e qualche rivista già menziona il becero linguaggio da film da una stellina. Perché non zero. Così si sfogano e son tutti contenti.
Film d’intrattenimento e senza tanti fronzoli e approfondimenti, leggero e vedibile, passatempo e gustoso: certo che la storia è alquanto buttata per (rimpolparla e soddisfarla) in un terzo capitolo che dovrebbe uscire fra due-tre anni. In questi casi le dettature degli uffici-cine cambiano anche in base a stagioni, incassi e naturalmente la scrittura pronta. Decide Spielberg, ci mancherebbe.
Ecco che Isla Nublar ritorna per studio e uso mercenario di quello che resta del Parco divertimento. Il prelievo del DNA dallo scheletro dell’Indominus rex sul fondo della laguna porta a catena guai, assalti e il risveglio di dinosauri dati per morti. Mosasaurus e Tyrannosaurus sono i primi che non perdonano. Intanto sul continente il dr. Ian Malcom è contrario a ‘salvare’ i dinosauri da un’eruzione vulcanica imminente. Ovvio che la diatriba porta alla formazione di un gruppo contro che la pensa in modo diverso. I dinosauri dovrebbero essere per i potenti e ricchissimi dei cimeli e dei trofei da acquistare…E poi mai togliere un dente a un Indoraptor…senza sapere del suo potere intellettivo…
Ecco che l’asta genera il facile approdo e dà il dettame per l’uomo avido di tutto ma pauroso fino al midollo. Il perfetto gioco, o forse tale, per un peregrinare tra milioni di dollari a iosa e cadaveri infuriati chiusi dentro gabbie/galere alla giusta causa. Il territorio è la fuga quando qualcuno sbaglia il destino dell’approdo del potere sulla natura (e sul suo passato soprattutto): ecco che dopo una lungaggine (eccessi in mostra) di colpi di martello la bambina Maisie Lockwood sveglia il film in modo iperbolico. Osserva, è curiosa, è sveglia, si spaventa, grida e corre (come non mai) fino alla sua camera di questo lussuosissimo palazzo (da baraccone). Il corridoio e la sua corsa, le coperte e il suo viso, la finestra e le ombre, il dinosauro e i tetti…si deve dire che tutto è giocato in modo preciso e senza pause. Il corridoio è veramente una fuga al contrario, verso di noi, parafrasando Kubrick, e invertendo l’idioma del nemico che non è davanti (almeno pensi) non è dietro (almeno non si vede), non è visibile subito e il tocco spielberghiano è evidente nell’approdo al letto della bambina e quello che succede dopo. Nel rivedere ‘Ready Player One’ e l’omaggio a ‘Shining’…allora i conti forse potrebbero tornare. Ecco che questa parte vale già il biglietto per chi scrive. Meglio non andare oltre: ci sarebbe molto altro, come inquadrature, riferimenti, luoghi e omaggi vari.
W il cinema non-senso, o meglio il cinema di puro intrattenimento dove le parole e qualsiasi discorso sono retorica del roboante o fallimentare incasso. Ci si siede e si guarda con passione.
Omettendo ogni pelo nell’uovo, però in questo capitolo si ha più di una sensazione de puro gioco senza una vera e propria storia o meglio senza un vero incastro dei personaggi.
Ricordando i primi due ‘J.P.’ si ha la netta sensazione di un retrogusto ammaliante ma il fascino e la differenza sono oltremodo visibili. Difficile interagire con il volo mentre ancora sei al massimo su un tetto della tua casa.
Lezione di basso costo, basso, nonostante il budget di altro tipo, di un cinema troppo schematizzato a tavolino e con perturbazioni che ti aspetti e un vulcano che ci mette lo…zampino…
Destrutturato e semplicemente spettacolo, il film regge bene le sue gambe con i suoi attori e le comparse: volti tagliati e facce pressate. Chris Pratt ha il gioco oramai in mano (e qualche rettile a portata di mano) ma è Jeff Goldlum che ruba la scena a tutti per quello che ricorda facendoci sognare il primo unico ‘Park’.
Al quinto capitolo la saga giurassica vira verso un gusto pauroso, claustrofobico, oscuro e prettamente chiassoso. Poco incline ad aprire il cervello e effetti dinosauri che fanno sempre gola allo spettatore. Scene sovrappiù: l’attesa del disastro è ovvia, quasi scontata fino al saggio sui dinosauri pensando di tenere sottomano tutto. Mai aprire gabbie, mai sviscerarsi in altro, mai dare per morto, mai pensare di mettere l’arma accanto agli occhi spenti,….Siamo vicini (anche) al ‘pianeta delle scimmie’ (‘War for the Planet of the Apes’, 2017) dove le gabbie hanno riferimento e Cesare va a braccetto con Blue.
Titoli di coda: la musica ‘refrain’ di John Williams toglie il respiro facendoci ricordare il meglio del 1993 e l’entusiasmo intatto pervade ogni poro come la pelle d’oca….rientra….mentre arriva l’ultima scena post-tutto. Regia persuasiva e addomestica, vigorosa e compiacente.
Voto: 7+/10 (***½)

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