Jurassic World: la recensione di loland10
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Jurassic World: la recensione di loland10

Jurassic World: la recensione di loland10

“Jurassic World” (id., 2015) è il terzo lungometraggio del regista-sceneggiatore californiano Colin Trevorrow.

Il cinema non (ci) risparmia nulla, non bada ai sogni da (re)inventare e inondarci di luci surreali, non vuole dissuaderci da non andare in sala. E sì, perché certo cinema e certi film se non visti sul grande schermo perdono una buona metà del loro effetto e disegno di abbagli azione. Perché ogni voglia di screditare certa ‘tipologia’ di film dovrebbe (ma è un uso personale e per nulla convincente verso gli altri tutti) ..catapultarsi nel ‘fuori onda’ della settima arte e conoscere qualcosa (o di esso in parte) della’produzione della Ambin (in primis Spielberg naturalmente) e della DreamWork (in seconda battuta) per accomunare e circumnavigare le isole tutte con i ritrovi fossiliferi (non stantii ma da corteggiare con parsimonia pellicolare).che diventano labile mondo di un futuro che è stato già scritto. E’ il ‘parco’ dei morti, è il sogno dei ‘morti viventi’ dove un grido è un silenzio tra sordi. Intelligenza è capire che sei nel posto sbagliato. Sbagliatissimo.

Nell’encomio(abile) touché di scherma (duello e scontro rugby stico) dove il polso (vene ben calibrate) è da su di giri per il tu ad ogni forma fisica di quello che vorresti (vuoi) rivedere, la palla della ‘base’ (un atterraggio di un velivolo moderno) passa in linea di ‘foul’ (i confini ben costruiti del parco) come nel limite di recinzione (il vecchio luogo in riposo tutto impolverato e a soqquadro) e così il ‘suggeritore’ apre le ‘basi’ (c’è sempre chi sopravvaluta le capacità metodiche degli animali figurarsi quelli estinti) mentre gli ‘esterni’ restano ammaliati (per una corsa in moto come un ‘raptor’ che si fa strada) in un gioco da ‘strike’ imperdibile (e al terzo tentativo ti eliminano e la cosa migliore è scappare a….voli oltre oceano).

Stiamo partendo per una settimana e lasciamo la neve e il freddo per prendere un traghetto e (ri)andare in Centro America (a 190 Km al largo della Costa Rica cioè ‘Isla Nublar’) ci aspettano. Il sorriso è per vederci il parco dal vivo e sederci per qualche breve trovata ‘circense’: non aspettatevi il sopra c’è anche il sotto. E sì il favoloso palco (e anfiteatro moderno) si sposta ad ascensore men che meno del livello acqua-spruzzo. Come sinuosa e virtuosa immagine di ‘calco’ (di antico) che diventa ‘mobile’ (di nuovo): il vecchio saggio (e qui il ‘dinosauro’ spodesta la saggezza di antiche virtù) è svuotato dal’arrivismo (ad ogni costo) di un ‘sapiens’ a ritroso ma la sua (ri)vincita è epocale. La natura (e ogni sua ‘cosa’) fa il suo corso e i ‘vecchi-sauri’ non sono meno ‘voraci’ dell’uomo post-modernizzato. Tutt’altro le fauci spaventano e allargano (e/o all’argano) l’immaginario di ogni ‘parco-mediatico’ anzi ‘parco-settanta-millimetri’.

Dopo qualche lustro e un terzo capitolo (del 2001) da farsi perdonare (e anche ‘dimenticabile’) ecco ritornare i grossi rettili estinti e il Cretacico in sfolgorante attualità con un parco che riapre per grandi e piccoli. E’ ‘Jurassic World’: “spaventeranno i bambini”, “No…saranno più spaventati i grandi”. Ecco (giusto-appunto) come viene detto nel film il rischio di non assecondare il gioco e i ‘lucertoloni’ si potrebbero arrabbiare anzi si sono già arrabbiati. E la carneficina umana è già pronta e servita: e uno pensa a qualcosa di cruento a dismisura, invece vi ho trovato un’alchimia (quasi imperdibile) di ‘grumo’ tra ironia-paura-fuga. Un qualcosa che succede poche volte e per film di ‘genere’ e si ha la sensazione che qualcuno oltre il facile meccanismo ‘pop-corn’ usa e getta (l’opera ‘majestatis’) si prenda troppo sul serio e pensa di sfornare quello che non è.

E’ il cinema di puro intrattenimento e di uno spasso senza sosta. Non rimane per una perdibile storia, certo ma è imperdibile il gioco che si nasconde sotto una scrittura ‘cosiddetta’ semplicistica. Il resoconto è di un film d’archivio che opere-rà in memoria (futura) per le immagini in notturna, gli effetti e il cromatismo lineare (e veritiero) tra gli umani e i non-umani. L’incontro tra mondi e cinematografie diverse avviene al di fuori della ‘girosfera’ (o del mezzo moderno che volete) perché non sei più dentro la tv (e lo schermo piccolo che ti fa celebrità) ma fuori nell’ordinario (per forviare salomonicamente antico) parco di un cinema auto-distruttivo: è l’immagine calmierante dei mostri inseguiti. Eccoli ti vogliono e ti abbracciano (si fa per dire). Loro non sono (mai) dalla tua parte. Vero Vic!, stai zitto Vic!, Vi(n)c(ere) senza testa.

Il ‘fuori-pista’ è sempre da sconsigliare, risulta pericoloso in ogni dove e soprattutto (soprattutto) per ci pensa di divertirsi (divertirsi!) con simili ‘animaletti’ ma Zach non vede l’ora di dimostrare al fratellino Gray che non ha paura e per di più non sa contare: ‘sono cinque’ dice Gray e Zach….riconta…’uno, due….’ E al cinque si scatena il T.Rex modificato. Di tutto per farla finita. E il telefonino può dare una mano…vero mamme?! Ma tutto scappa e la fretta (di fuggire appunto) mette in subbuglio l’intero parco e tra uccelli giganti, velociraptor indomabili e duelli di vero contatto fisico, i carnivori comandano il gioco e l’uomo (migliaia e migliaia) cercano la fuga da tutto. Il parco è in chiusura anzitempo e gli animali ‘geologici’ dettano il tempo e il passo (sonoro).

Il fervore spielberghiano resiste ad ogni costo (non certo per il budget) e il sound ‘di sottofondo’, all’apertura panoramica e poi nei titoli di coda (soprattutto), di John Williams fanno il ponte (come non potrebbe) con la prima apertura del 1993. Una musica che destina la chimera ‘divertisment’ a un pubblico di ieri e a quello che oggi vuole riecheggiare l’infausto mondo da mostrare di John Hammond e del suo fantasmagorico progetto andato in fumo (e il ricomparire di antiche jeep abbandonate e parte dello striscione con su scriito “When Dinosaurs Ruled the Earth” con il marche-design e i vari loghi sui prodotti rimasti in disuso non fanno altro che rimpolpare il gioco che fu con il ‘tenore’ al ribasso della paura odierna senza l’uomo con i capelli bianchi che tutti nominano). Copiare è (anche) un’arte e copiare Hammond non è facile (assolutamente) per nessuno e la sua voce ancora ‘rumoreggia’ tra chi pensa di sapere come si sorveglia un (parco) set cinematografico.

E Vic di Nublar vorrebbe gestire il tutto pare già pronto per le prossime elezioni di sindaco e come non pensare a Vaughn (sindaco di Amity) in ‘Jaws’ (Lo squalo, 1975) per vederli camminare con lo stesso passo sulla spiaggia (le due isole sembrano idealmente toccarsi): l’immagine (e l’immaginario) visiva(o) è impressionante e didatticamente imperscrutabile per chi deve girare una scena per un film che sembrerebbe non appartenergli. E il Mosasauro è lì ad aspettare per una ‘voracità’ pre-tempo moderno.

Le citazioni, le boisieres, le maestranze, i richiami, i movimenti e le tipologie delle inquadrature (in alcuni casi fermo-immagine) sono apparizioni in filigrana del ‘producer’ della Amblin. Tutto in virtù di una connessione diretta e per nulla banale. La ‘puntura’ e lo ‘stile’ del regista di Cincinnati sono chiari ed evidenti manca (per quello che è la struttura) di una certo ‘avvolgimento’ totale e dell’idea originaria di Michael Crichton posta e rimandata (a noi) da un ‘regista’ che ne diresse l’inizio del destino post-giurassico. E’ il ‘super-8’ del fantasmagorico parco ‘dell’isola che non c’è’.

E lo scontro finale tra I.-Rex, T.-Rex e i Velociraptor con i malcapitati Owen (Chris Pratt), Claire (Bryce D. Howard) e i due nipoti (Zach e Gray) rinvigorisce e asseconda un’imprimatur originale del film (e del libro) per stabilire una ‘catena alimentare’ e un ordine preciso di preda e predatore. Ecologia e paleo ambienti da studiare per rimettere le ‘cose’ al loro posto.

Chris Pratt, Bryce D. Howard (figlia di Ron Howard), Vincent D’Onofrio, Nick Robinson, Ty Simpkins e tutto il resto del cast si integrano bene con una miscela di ironia, battute, paure e sguardi ben assortiti. Ciò che devono dire è puramente ‘incongruente’ per un film ma per un film del ‘genere’ l’incongruenza fa storia a sé. Certo il segno dei tempi lascerà agli archivi di una pellicola ‘volante’ e ‘saziante’: per chi desidera assorbire il nulla del miscuglio pare essere a Disney-Dream incorporati assieme con il lustro (non a casa) di un occhio attento quello famelico di un Rex in agguato. State lontani e chiudete i cancelli. Uscite dal cinema per poi rientrarvi per un secondo giro(sfera).

Da segnalare la fotografia di John Schwartzman (lo scontro in notturna è veramente coinvolgente) e la musica di Michael Giacchino (tra l’altro premio Oscar per ‘Up’, 2009) che riesce ad aggiungere forza ad ogni ‘scontro’ (senza contare, come detto, il sound inconfondibile di John Williams). La regia di Colin Trevorrow riesce a sopperire a qualche ‘vuoto’ da un originale che rimane in primo passo di danza (adesso sì che “J.P.” appare una pellicola da valutare meglio e non per scriverne le solite righe). (visto in 2D).
Voto: 8 (con silenzio triturante il boato arriva in sala).

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