Kingsman: Secret Service: la recensione di Mauro Lanari
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Kingsman: Secret Service: la recensione di Mauro Lanari

Kingsman: Secret Service: la recensione di Mauro Lanari

Intrattenimento divertente ma non omaggio dissacrante né nuova frontiera del cinema. Quando alla prima vittima della Pistorius in gonnella tornano alla memoria identiche scene da “Ichi the Killer” (2001), “Kill Bill” (2003-4), “Machete [Kills]” (2010-2013), o quando al primo ralenti ci si perde fra i ricordi del “bullet time” da “Matrix” (1999) agli sparatutto (“Hitman”: 2000; “Max Payne”: 2001) e al “modus cogitandi” dello “Sherlock Holmes” di Ritchie (2009-2011), è chiaro che d’innovativo qui non c’è nulla. Anzi, proprio com’il dittico di Ritchie, il film rappresenta un ulteriore sintomo dello stallo creativo perdurante ormai da oltr’un decennio nei blockbuster e non solo: se non si producono sequel, prequel e reboot, s’aggiornano i classici, appunto i Conan Doyle e gli Ian Fleming, a uso e consumo del pubblico odierno, teenager e geek, cresciuto con tutti gl’ingredienti utilizzati da Vaughn: cinecomics, videogames, hi-tech (il villain “made in MIT”, gli smartphone com’arma di distruzione di massa, l’intrusione hacker, gl’occhialini alla Google Glass et similia). Lo stesso giovane protagonista è un coetaneo del target di riferimento, e infatti gl’incassi sono stati enormi. Si vede Caine e il pensiero corre subito a eventuali nessi col Batman nolaniano, s’assiste a un combattimento coreografato e ci s’ingolfa in troppi antecedenti wuxia e occidentali, il legame pigmalionesco con Firth è esplicitamente associato al tradimento cinematografico compiuto nel ’64 da Cukor ai danni dell’opera di Shaw. La strage in chiesa: Ferrara, Carpenter o chissà chi altri? Lo splatter, il pulp, l’exploitation e il citazionismo: Tarantino o cosa? Gl’apocalittici botti conclusivi: Cronenberg, Kubrick, Burton, boh. Più parodia ch’ironia. la scorrettezza politica, la volgarità sessuale, l’ultraviolenza com’ingredienti immancabili: l’interesse precipita col trascorrere del tempo, quello del film e quello della storia del cinema. Un “déjà vu irriverente” tende all’ossimoro. L’originalità vera sarà per un’altr’occasione: oggi continuiamo a cercare di trastullarci con Vaughn: purtroppo c’è anche di molto peggio.

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