La battaglia di Hacksaw Ridge è l’ultima apprezzabile fatica dell’attore/regista australiano Mel Gibson (Braveheart – Cuore impavido; La passione di Cristo; Apocalypto), assente dalla guida di un film dal lontano 2006. La pellicola (con 6 nominations ai prossimi Oscar) si nutre di classiche convenzioni cinematografiche rielaborate egregiamente e, come piace a Mel, della violenza più cruda. La sceneggiatura di Andrew Knight (The Water Diviner) e Robert Schenkkan (The Quiet American) si sposa bene con il modo di fare del regista tramite dialoghi abbastanza credibili e coinvolgenti (in parte tesi ad esaltare la religiosità e i valori del protagonista) a cui si affiancano soprattutto scene di lotta ben costruite. Fotografia di Simon Duggan (Die Hard – vivere o morire, Io Robot, Il Grande Gatsby [2013]). Musiche di Rupert Gregson-Williams (Hotel Rwanda, The Legend of Tarzan). Andrew Garflied torna finalmente a stupire con una grande prova (dopo l’esperienza non proprio esaltante in Silence) e la nomination agli Oscar come migliore attore protagonista non è affatto un caso. Da non dimenticare l’esilarante Sergente interpretato da Vince Vaughn e l’ottimo Hugo Weaving.
Il religiosissimo Desmond T. Doss (Andrew Garfield), in piena Seconda guerra mondiale, decide di arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti come obiettore di coscienza e ufficiale medico. Egli non vuole imbracciare nessun tipo di arma poiché la sua intenzione è quella di salvare vite e non di toglierle. Decide dunque di partire alla volta del Giappone anche contro la volontà del padre, Tom Doss (Hugo Weaving), un ex militare ormai depresso e violento tra le mura domestiche. A precedere l’intervento in guerra ci sarà l’addestramento, durante il quale Desmond conoscerà i suoi futuri compagni di battaglia capitanati dal Sergente Howel (Vince Vaughn).
Mel Gibson torna in ottima forma dietro la macchina da presa dopo quasi 11 anni di assenza regalandoci un film come La battaglia di Hacksaw Ridge attraverso cui riesce ad esprimere se stesso, senza snaturarsi. La pellicola si divide in tre parti perfettamente equilibrate. Nella prima Desmond T. Doss viene mostrato negli spezzoni salienti della sua giovane vita, quelli che lo hanno segnato, tra cui vi è l’avvenimento che lo porterà ad avvicinarsi in modo inestricabile alla fede. La seconda parte vede Desmond abbandonare la piccola cittadina dove è nato e cresciuto per arruolarsi nell’esercito. Egli lascia una situazione domestica problematica in cui il padre, violento e alcolizzato (conseguenze della sua esperienza di guerra), ha spesso, negli anni, usato violenza contro di lui, suo fratello e sua madre. Probabilmente il suo stretto legame con la fede va visto anche come un modo per allontanarsi, almeno spiritualmente, da una situazione domestica avvilente. E così quando ha l’opportunità di andare via per davvero Desmond lo fa arruolandosi. Il suo non voler imbracciare armi propone un modo del tutto insolito di affrontare una guerra invertendone le finalità. Desmond vuole, infatti, salvare vite. Verrà, ovviamente, durante l’addestramento, preso per pazzo dai suoi colleghi e dagli ufficiali. Inutile dire che il giovane farà di tutto per contraddire la communis opinio. Non si può tacere, in questa fase, la presenza del Sergente Howel, interpretato da Vince Vaughn, protagonista di una delle scene, a mio parere, più curiose e comiche degli ultimi tempi, quasi una parodia dell’intramontabile Full Metal Jacket. La terza fase del film vede protagonista la battaglia in cui Demond Doss avrà le sue chances di farsi valere, pur senza usare armi. Il film di Mel Gibson ricalca situazioni già viste in passato e non disdegna i cliché. Nonostante ciò, il risultato non è per niente banale ed è qui che sta la grandezza di quest’opera, notevole nella sua semplicità. Ad alcuni potrebbe sembrare la “solita americanata” (Liam Neeson e Gerard Butler sono i più recenti Maestri del genere) se non fosse che qui ci troviamo davanti ad una storia vera e di vero coraggio. Ovviamente la costruzione cinematografica edulcora, rimodella e ingrandisce alcuni fatti ma l’audacia di Demond Doss è reale e non ha bisogno di ritocchi di sorta. Il film riesce a coinvolgere dall’inizio alla fine, senza pause. La pellicola comunica con lo spettatore e di rimando questo risponde con adeguato slancio emotivo. Il regista vuole che il pubblico si senta parte soprattutto delle situazioni drammatiche, tipiche del cinema e per la verità un po’ forzate, che coinvolgono il protagonista. E come non parlare di quest’ultimo. Un Andrew Garfield molto a suo agio nei panni di Desmond Doss. Espressivo e comunicativo come non gli è riuscito in Silence, l’attore conferma una grande capacità di coinvolgere il pubblico in ogni suo stato d’animo. Insomma, Andrew Garfied e Mel Gibson, un matrimonio perfetto. Risultano invece davvero inconsistenti i personaggi che affiancano Desmond i quali hanno il solo scopo di mettere in risalto tutte le qualità del giovane soldato disarmato. Religione e violenza costituiscono due filoni importanti nella meccanica del film, temi tanto cari al regista australiano. Qualcuno si è lamentato dell’eccessiva spiritualità del protagonista e di come questa lo influenzi. Io, piuttosto, ho visto più che un ragazzo religioso praticante, un uomo con sani valori e tanta forza di volontà, cose che prescindono dal credo. Riguardo alla violenza il regista cerca di allontanarsi il più possibile, come sempre, dalla finzione cinematografica e spettacolare per cercare invece di avvicinarsi alla realtà, ben più macabra. Di conseguenza lo spettatore si sforza di continuare a guardare o si volta orripilato. Non c’è nulla di lodevole nell’uccidere un altro uomo e questo Mel ce lo dice a gran voce. Vera pecca del film è il finale/non finale. E’ sembrato come se Mel non avesse avuto alcuna idea su come concludere, chiudere il cerchio, e questo lascia un bel po’ di amaro in bocca. Ci sono finali che ti lasciano a bocca aperta, finali apprezzabili, finali ovvi, finali sospesi (per i sequel) e poi c’è il finale de La battaglia di Hacksaw Ridge, un film che, al di là di tutto, lascia il segno e che vale davvero la pena vedere.