La Bella e la Bestia
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La Bella e la Bestia

La Bella e la Bestia

La Disney procede spedita e determinata con la costruzione del suo filone live action e con l’imminente uscita di La Bella e la Bestia inanella il terzo film della serie che fa resuscitare i classici dell’animazione da parte di attori in carne e ossa. E nonostante le evidenti differenze che sussistono tra le trasposizioni già uscite, tre film sono una quantità sufficiente per fare un primo bilancio. Il primo a esordire è stato lo shakespeariano Kenneth Branagh con una variazione su Cenerentola più femminista di quella disneyana del 1950 e con protagonisti dalla psicologia più evoluta e determinata di quella cartoonistica, seguito da un ispiratissimo Jon Favreau che ha fornito una versione post-moderna del Libro della giungla di Kipling, giocandosi sapientemente la carta del fattore terrifico che la foresta e le sue bestie provocano sul nostro inconscio, dando vita a una trasposizione meno edulcorata e più selvaggia dell’allegra e canterina versione delle avventure di Mowgli e Baloo.

E veniamo dunque al terzo caso, in uscita dal 16 marzo. Bill Condon, regista di mestiere che ha curato gli adattamenti degli ultimi tre episodi della saga Twilight con pedissequa fedeltà ai testi di Stephenie Meyer, si è approcciato al classico animato del 1991 con la stessa scrupolosa osservanza. Già dalle prime foto, trailer, clip e interviste, era chiaro subito a tutti che quella che vede come protagonista Emma Watson sarebbe stata una riproduzione fedelissima dell’originale, praticamente un calco.

Un “falso” ben dipinto e per il quale non si è badato a spese (il budget è di 160 milioni di dollari) per ricreare la sontuosità degli ambienti e la vivacità dei personaggi incantati del castello (riprodotti in CGI, così come il volto della Bestia realizzato grazie alla motion capture e appiccicato al corpo vero di Dan Stevens), per il quale è stata individuata una Belle praticamente perfetta (forse anche troppo) nei panni dell’originale ragazza che ama più i libri e gli amori romantici letterari delle prosaiche profferte matrimoniali del fustacchione locale (Luke Evans) e sempre per il quale è stato coinvolto un cast all star di prim’ordine (oltre alla Watson, Ewan McGregor nei panni di Lumiére, Ian McKellen in quelli di Tockins, Emma Thompson come Mrs Bric, Stanley Tucci che è il Maestro musicale Cadenza).

La traduzione e il doppiaggio portano ovviamente con sé degli ulteriori distinguo. Per la versione italiana non sono stati interpellati degli interpreti famosi, ma doppiatori di mestiere affermati, che si sono intervallati con cantanti professionisti per le parti musicali. Ed è qui che si tocca il tasto più dolente relativo al film in oggetto. Dal momento che siamo di fronte a una clonazione, a un refresh fedele sia nella forma sia nel contenuto di un cartone di 26 anni fa (che nelle canzoni aveva una delle sue punte di diamante), va detto che ritrovarsi con i testi modificati è spaesante. La preoccupazione che il labiale e il sync coincidano è diventata prioritaria negli anni e, in effetti, nel cartoon del ’91 l’effetto playback era sempre dietro l’angolo, ma modificare quelli che nel tempo sono diventati degli autentici tormentoni è un’operazione quanto meno temeraria, che scontenterà i cultori. Poi certo, numeri coreografati come la celeberrima “Stia con noi” sono un vero appagamento per la vista e il cuore, su cui persino i pignoli avranno poco da ribattere, ma anche il più perfetto degli ingranaggi può nascondere dei difetti al suo interno.

Esaurito questo discorso che ci riguarda più da vicino e tornando al giudizio complessivo sull’opera, la domanda che nasce spontanea su tutta l’operazione live action, che proseguirà con Mulan, Mary Poppins Returns, Dumbo e Il re leone e via dicendo, è sull’utilità di replicare quelli che sono degli autentici capolavori. Le fiabe animate quando sono di prima qualità come quelle di cui stiamo discutendo sono degli universi a se stanti, dei piccoli grandi miracoli a cui concorrono tutti gli elementi in gioco: scenografie, coreografie, espressioni facciali, design delle creature…, una formula che il buon vecchio Walt ha codificato 80 anni fa. In questa versione live-action quella freschezza viene indebolita, per rifugiarsi in parte nell’immaginario goticheggiante burtoniano in parte in quello del musical che va dagli anni ’60 in poi. E non è colpa di Condon, ma di una vivacità e un’unicità proprie del mondo animato che sono irreplicabili.

Attenersi troppo strettamente a un tracciato già solcato, aggiungendo qualche inserto storico (come quello sulle cause della morte della madre di Belle) o qualche personaggio modificato (il LeTont gay di cui si è tanto parlato, i cui gusti sessuali probabilmente i bambini non coglieranno neppure), è una scelta di base ben precisa ma troppo poco coraggiosa per farne qualcosa di memorabile. La strada più giusta da seguire, come dicevamo all’inizio, è quella percorsa da Favreau che ha fatto proprio il racconto originale e l’ha trasformato in un oggetto completamente diverso. Il modernariato di Condon farà sicuramente la gioia di grandi e piccini per la maestosità e lo sfarzo della confezione, per la riproposizione di una storia ultraromantica e commovente che spinge a guardare oltre l’aspetto esteriore, per la sorpresa di vedere degli oggetti animati e parlanti molto credibili, ma ridotto ai suoi minimi termini va considerato per quello che è: un’imitazione, per quanto perfettamente riuscita.

Mi piace: la fedeltà all’originale e la ricchezza delle scenografie. L’impeccabile Emma Watson e Luke Evans, un Gaston più ironico di quello della versione animata.

Non mi piace: l’aver rischiato pochissimo e i testi delle canzoni italiane modificati per far coincidere sync e labiale.

Consigliato a chi: ai fedelissimi del cartoon del 1991, agli amanti delle versioni live-action e al pubblico delle famiglie.

VOTO: 3/5

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