Marco (Gianmarco Franchini) ha 20 anni e una grande capacità di sentire, avvertire ed empatizzare con il dolore del mondo. Scrive poesie, e cerca nell’alcool e nelle droghe “la dimenticanza”, quello stato di incoscienza impenetrabile anche all’angoscia di esistere e di vivere. Beve tanto Marco, beve troppo. È in fuga dal dolore ma soprattutto da se stesso. Per vivere si deve anestetizzare, dice.
È incapace di “stare” nelle cose, a meno che il tasso alcolico del suo sangue non sia altissimo, e si è allontanato da tutti, amici e fidanzata, spaventati dalla sua voglia di distruggersi. Anche il padre (Luca Zingaretti), testimone di questo lento suicidio, è incapace di gestire tanta sofferenza ma tenta almeno di “esserci”; la madre è mancata da qualche anno e ha lasciato un grande vuoto. Quando dovrà andare a lavorare nella cooperativa di pulizie dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù è convinto che questa esperienza, a contatto con i bambini malati, lo ucciderà, ma le cose andranno in modo molto diverso e imparerà a scoprire cos’è la vita vera.
Ispirandosi all’omonimo romanzo, edito da Mondadori nel 2018, di Daniele Mencarelli, scrittore già trasposto con successo da Francesco Bruni nella serie Netflix Tutto chiede salvezza, il popolare attore Luca Zingaretti esordisce alla regia con un intenso film, La casa degli sguardi, presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2024: un’opera prima ben sintonizzata sul travagliato vissuto di un ragazzo dalla fortissima sofferenza psichica, che il giovane Gianmarco Franchini, già visto all’opera in Adagio di Stefano Sollima, porta sullo schermo con irruenza selvaggia e una bella dose di pathos, sobbarcandosi un tour de force recitativo tutt’altro che semplice e nel quale risponde sempre con coinvolgente prontezza, anche di fronte alle sfide più ardue.
Zingaretti si ritaglia invece il ruolo del padre: un uomo buono, come tanti, premuroso e un po’ ansioso, autista dell’Atac in seno dunque al servizio pubblico romano di trasporti (lo vediamo condurre il tram 19, con capolinea Piazza dei Gerani), che lascia al figlio piatti pronti da scaldare, fuma il sigaro in terrazza e appare un genitore straordinariamente e commoventemente ordinario e ingrigito, tanto nelle preoccupazioni e negli occhi lucidi di sgomento quanto nelle speranze per il suo Marco (“Si tratta sempre di ricominciare”, gli dice cercando di infondergli forza e lucidità per il futuro).
Un personaggio, recitato dalla star di Montalbano con la consueta naturalezza, che ha addosso il sapore di un’ordinarietà schietta e stropicciata, lo stessa che anima interamente La casa degli sguardi: un film semplice e popolare ma di grande cuore nel raccontare umanità, affetti, scorci di società e di presente, con una vocazione che cerca – anche se il paragone può sembrare roboante – di piegare la sensibilità sociologica del neorealismo alle scale di valori odierne.
Il cast di contorno è tutto ben scelto, con dei comprimari ben tratteggiati e ben diretti (specie quelli d’ambiente ospedaliero), perfettamente in grado di restituire, attraverso un’ottima recitazione, posture e caratteristiche dei loro personaggi. Una menzione speciale per quello che è di fatto un padre putativo del protagonista, il Giovanni di Federico Tocci, capace di passare repentinamente dalla rabbia alla pietas, ma vale la pena citare anche gli altri interpreti, tutti bravissimi: Alessio Moneta, Cristian Di Sante, Chiara Celotto, Marco Felli, Riccardo Lai, Filippo Tirabassi.
Come l’inquadratura finale chiarisce a chiare lettere, si tratta anche di un film su Roma, sul suo inguaribile cinismo mischiato a insopprimibile calore umano, sull’arte di arrangiarsi che tuttavia non può non andare di pari passo a un tiepido calore umano e una forma di vicinanza, di simpatia e talvolta perfino di empatia, che sconfina spesso e volentieri nell’essere sodali di fronte alle avversità della vita.
Si concede anche qualche stoccata ai tic e alle ipocrisie del coté radical chic, senza timore di qualche sbandata addirittura popolaresca e di qualche sentimento di vicinanza e solidarietà verso gli ultimi della società forse più retorico (“Anche i porelli hanno i sogni”), ma fortunatamente mai populista. Alla fine della fiera, lo Zingaretti regista, anche co-sceneggiatore con Gloria Malatesta e l’esperto Stefano Rulli, porta a casa un esordio che è una bella, coinvolgente e commovente sorpresa.
Foto: Bibi Film, Clemart, Stand by Me, Rai Cinema
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