“La casa dei libri” (La libreria, 2017) è il tredicesimo lungometraggio della regista spagnola Isabel Coixet.
Film leggero, importante, soave, indefinibile, tattile e volano nelle parole di un libro e degli scatoloni che aprono i pensieri. Una foglia che cade e non fa rumore ma che fa entrare dentro il frasario e la delicatezza di un libro da aprire, assaporare e leggere in silenzio. Un silenzio che apre ogni cattivo pensiero nella cittadina di Hardborough dove il pettegolezzo, l’invidia e il bastian contrario soffocano ogni giorno la vedova Florence che rema contro i mulini a vento per un ‘refrattario’ mondo al sogno e al gusto di una carta espressiva.
Siamo alla fine degli anni cinquanta: il luogo da pochissime speranze ma l’ostinazione trovano qualcuno predisposto alla lettura e all’incontro con una donna che si ritrova sola o quasi. E Mister Brundish, ricco signore solitario e diffidente, a dar il merito di una iniziativa lontana dai respiri di un posto snob e poco incline alla sapienza letteraria.
Mrs Gamart è l’altra faccia personificata della vita glamour e triste di una cittadina dedita alla piccola vendetta. Le facoltà finanziarie e le giuste leggi (a chi servono) danno inizio alla battaglia tra una libreria ancora aperta e l’arte pomposa di un centro nuovo da aprire.
Poche carrellate in avanti, se ne ricorda qualcuna laterale, il resto è impresso in fermi immagini in scricchiolii degli sguardi, in vacui ammiccamenti, in grigi pomeriggi, in posture attempate, in sentieri umidi mentre il mare inglese s’adombra per ogni verso di prosa letteraria.
Quando Florence vuole aprire una libreria, nella sua vecchia casa triste e sola, le voci si rincorrono, l’ignoranza arriva e un cancello resta aperto in una villa sperduta. Chi mai può comprare un libro per leggerlo in un anfratto malinconico e chiuso? Chi mai può pensare che un’idea possa creare scompiglio in un posto simile? E inaspettatamente arriva anche, e soprattutto, il consenso e un’amicizia che va oltre di un uomo anziano, chiuso e silenzioso, che apre se stesso verso il coraggio di una donna. Il suo giudizio letterario, i suoi acquisti danno coraggio a Florence e Mr. Brundish schiude il suo isolamento fino alla causa. Una teatralità inespressa, un’implosione di sguardi e modi di poche mosse e un abbraccio modesto e forte, lacerante e mai di compiacimento. La vita e la morte destano silenzi assordanti per un saluto ad una donna coraggiosa da parte di una bambina (non una qualsiasi) che riesce a vincere la sua timidezza e leggere un libro interamente.
Arriva il pacco con un libro e ‘Lolita’ di Nabokov diventa discussione di acquisto ‘È un buon libro, dice Mr. Brundish alla donna….., ma chi sa se in questo paese capiranno ciò che dice? La sfiducia verso i suoi compaesani…totale e il film manifesta in ogni momento tale situazione.
I pacchi con 250 copie di Lolita, che Florence mette a posto come vero cimelio futuro, pare e lo è un affronto ad un cadaverico mondo sperduto, il duello tra menti chiuse e benpensanti. E sì, quando la lettura e la dolcezza di un cartaceo tra le mani, sono un qualcosa di inesprimibile, di profonda interiorità.
“La comprensione rende la mente pigra….”: un’affermazione che lascia un segno amaro verso ieri e anche il mondo di oggi. Mr. Brundish diventa saggio di vita (in un romanzo qualsiasi).
Il film tende al monocorde in alcuni frangenti e alla semplicità stilistica ma gli ambienti e il vuoto che emanano si riempie con un libro che (forse) sta aspettando…una sana lettura.
Emily Mortimer (Florence Green) e Bill Nighy (Edmund Brandish) recitano, senza scomporsi, con un giusto equilibrio e movenze pacate. La rabbia di Florence verso i suoi ‘nemici’ è ben nascosta. Come il raccontare con la voce ‘fuori campo’ di un’adulta che conosceva bene ‘la libreria’.
Regia pacata, mesta, dolce e ingrigita dai colori autunnali.
Voto: 7-/10.