Di ritorno dal cinema dopo la visione dell’attesissimo “La Casa” di Alvarez. Esperienza traumatica, non tanto per il film, quanto per tutto ciò che ne ha caratterizzato la visione. Caliamo un velo pietoso sul pubblico composto principalmente dalla peggio gioventù urlante e scalpitante che rideva come un’ossessa ad ogni scena drammatica, ma perché – qualcuno me lo deve spiegare – io devo pagare un prezzo di 8.50 € per vedere il film in un grande multisala, se poi la proiezione si blocca a ogni piè sospinto e l’audio non è nemmeno sincronizzato con il video (e lascio immaginare la delusione del trovarsi di fronte a delle scene spaventose che non riuscivano a suscitare tale emozione, perché l’audio arrivava 3 secondi prima della sequenza)?!? Ma tralasciamo la mia brutta disavventura con quell’horror che è il tipico multisala italiano e avventuriamoci sulla recensione di “La Casa”!
Un remake? Un reboot? A dire la verità nessuno dei due. E’ troppo simile all’originale per poter essere un reboot e troppo diverso per esserne un remake. E’ né più e né meno un film che ne ha seguito semplicemente le orme.
Tutto ha inizio con un flashback che promette davvero bene per il seguito del film. Poco dopo arriviamo a fare la conoscenza dei personaggi e delle ragioni che li spingono a raggiungere la catapecchia del titolo. Domanda numero 1: Perché mai un gruppo di ragazzi, per curare un’amica tossicodipendente, dovrebbero portarla in mezzo alle paludi per farle trascorrere un periodo di riabilitazione tra muffa e capanne decadenti?! Hanno finito i posti in clinica?
E quando a neanche cinque minuti dall’inizio ti mettono di fronte a uno scenario del genere, che puzza di forzatura fin dalle fondamenta, abbiamo già capito che forse qualcosa non quadra.
Man mano che la trama comincia a prendere forma, ci viene offerta la possibilità di approfondire la conoscenza dei personaggi, e in particolare, del travagliato rapporta tra la protagonista Mia e il fratello David, sicché, ecco entrare in scena il terribile Necronomicon, il libro nelle cui pagine è contenuto il testo in grado di scatenare i demoni degli inferi. Ed è qui che sorge spontaneo chiedersi: Domanda numero 2: perché mai se vedi un libro sigillato in una busta nera e avvolto dal filo spinato, devi per forza aprirlo per curiosare?! E se fosse stato qualcos’altro?! Ci hai pensato per un secondo che forse vi era un buon motivo se lo avevano sigillato in quel modo? Ma poi. Domanda numero 3: perché mai dopo che qualcuno abbia saggiamente scritto a caratteri cubitali “Non leggere il libro. Evocherà gli spiriti dell’inferno. Provocherà l’apocalisse sulla terra”, tu ti devi per forza mettere a leggere ad alta voce, scandendo persino le parole per essere sicuro che il demone – qualora fosse stato duro d’orecchi – ti sentisse?!
Una tale sequenza di scene fa pensare che le intenzioni dello sceneggiatore fossero state proprio quelle di dar vita a dei personaggi palesemente stupidi, che si accaniscono nei loro intenti malgrado vengano apertamente avvertiti di continuo di non farlo (La stessa Mia dice: “Non dovreste entrare in quella cantina”)!
Ma qui arriva il vero bello: Ora il regista mi deve spiegare com’è possibile che da una pagina interamente scarabocchiata per coprire il testo originale, sia stato possibile ottenere le lettere del testo maledetto, ricalcate dalla pagina su un foglio a parte, senza però ricalcare contemporaneamente anche gli evidenti scarabocchi usati per coprirlo!! E’ una cosa che non sta né in cielo né in terra, e che fa rimpiangere l’iconico registratore audio del film originale!
Sopravvissuti a una tale sequenza di forzature, finalmente il film comincia a ingranare la marcia ed entrare nel vivo dell’azione, con Mia che per prima finisce vittima del demone (in una sequenza estrema, maaa… che forse poteva osare un po’ di più) e comincia progressivamente a trasformarsi in una mostruosa posseduta. Parlando di questo aspetto de “La Casa”, un complimento più che meritato va fatto all’attrice, che interpreta magistralmente il suo ruolo da indemoniata, e che finisce per diffondere l’infezione ai restanti membri del gruppo, scatenando da lì in poi l’inferno.
La parte centrale tutto sommato fa il suo dovere, riuscendo a intrattenere lo spettatore quanto basta per farlo divertire, ma manca tuttavia il bagno di sangue che invece la produzione e il regista ci avevano illuso e promesso.
Quello che invece proprio non si riesce a digerire è il susseguirsi di sequenze in cui viene messa a dura prova la capacità dei protagonisti di essere stupidi, e dello spettatore di essere paziente. Sequenze che scatenano fiumi di interrogativi sul perché un personaggio agisca in questo modo invece che in quell’altro, e sul perché malgrado il caos che stia scoppiando di fronte ai loro occhi, nessuno pare voglia rendersene conto per reagire in maniera coerente e verosimile agli eventi. Ecco quindi vedere qualcuno scendere in cantina, pur sapendo benissimo che al suo interno vi troverà l’indemoniata pazza, o qualcun altro che invece di scattare in avanti per armarsi del fucile poggiato a terra, vi si avvicina con vergognosa lentezza, in modo da dare il tempo al nemico di reagire. E di esempi simili se ne potrebbero fare a bizzeffe, volendolo.
Gira che ti rigira, tra una scena gore e un’altra splatter (pregiate per la loro natura artigianale e non digitalizzata, ma non così brutali e sanguinarie come ce lo si aspettava), giungiamo al finale, dove il film riserva per noi altre chicche che non rivelerò per non spoilerare troppo, ma che riassumerò con un’altra domanda: Domanda numero 4: perché mai il personaggio superstite dovrebbe considerare un tunnel sotto le radici di un albero un rifugio abbastanza sicuro per sfuggire alle grinfie del demone che le dava la caccia?! Non sarebbe stato meglio fuggire direttamente nella foresta invece che ritrovarsi intrappolata lì dentro?
Non sto esagerando. Vorrei che fosse così, ma il film mi ha veramente riempito la testa di interrogativi ai quali tutt’ora cerco di dare una risposta logica, non riuscendoci, e viene spontaneo domandarsi il perché di certe scelte.
Giunti alla conclusione, rimaneva da giocarsi l’asso nella manica: la mitica scena alla fine dei titoli di coda che avrebbe donato gioia beata ai fan di vecchia data dell’originale, ma che invece della sequenza completa che avrebbe potuto fungere da tramite tra la pellicola di Raimi e quella di Alvarez, ci ritroviamo un misera scenetta in cui il volto in penombra di Bruce Campbell pronuncia il suo “Groovy” prima di segnare la definitiva parola “FINE” al film.
Un po’ poco, considerate le attese montate attorno a questa scena. E che fa pensare che sia stata messa al solo scopo di placare per qualche tempo l’animo degli appassionati più incalliti. Della serie: “Mettiamola, che così se ne stanno buoni per un po’”.
Per carità, non sto dicendo che boccio del tutto la pellicola. Come horror ha davvero una personalità unica, che sicuramente lo contraddistingue da molti altri remake di recente fattura, e la recitazione dei personaggi, quando vengono trasformati in posseduti, è davvero meritevole della visione. Tuttavia, al di là degli apprezzati riferimenti alla saga originale, più citazionistici che non da collegamento al passato, “La Casa” si rivela un film fin troppo imbastito da forzature inutili che sembrano essere messa lì apposta dalla volontà dello sceneggiatore, una formula, questa, che funzionava nell’atmosfera un po’ goliardica e grottesca degli “Evil Dead” del passato, ma che in un film che si prende dannatamente sul serio come questo, fanno acqua da tutte le parti.
Se proprio si vuole andare in cerca dei collegamenti, sembra più un bizzarro sequel de “L’esorcista”, visto e considerato il “design” con cui sono rappresentati i posseduti e il loro repertorio di frasi tipo “Tua madre brucia all’inferno” et similia.
Non gli do una valutazione numerica, perché mi riesce difficile decidere se mi è piaciuto oppure no, ha un’atmosfera sicuramente unica nel suo genere, e visivamente merita una standing ovation, ma parlando della trama, si poteva sicuramente fare qualcosa di più. Ma chi sa, forse sono io che non me lo sono goduto appieno, tra insopportabili ritardi dell’audio, continui blocchi della proiezione, e brusii interminabili del pubblico maleducato che mi circondava.
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