“C’è qualcosa nell’acqua”
Questo film è come un pacco regalo con una confezione bellissima ma, una volta aperta, ci trovi dentro qualcosa di andato a male.
Il regista Gore Verbinski è bravo, lo sappiamo perché sa spaziare tra generi diversi con estro (“Pirati dei Caraibi”, “The Ring”, “Rango”) e ci piace soprattutto per i momenti più ritmati e sopra le righe che sa creare all’interno dei suoi film, come gli spassosi inseguimenti di Jack Sparrow nella trilogia dei Pirati o le peripezie dello sfortunato “Lone Ranger”.
Egli però non è né Hitchcock né Kubrick, ed è quantomeno avventato da parte sua voler tenere alta la tensione nello spettatore per due ore e mezza di thriller come vorrebbe fare, senza riuscirci, con “La Cura dal Benessere”.
Questo film infatti intraprende più direzioni, va a tentativi e non si sa bene a quale genere associarlo: contiene un po’ di thriller, una buona dose di horror e un mal riposto principio di critica sociale!
Visivamente è interessante, si vede subito che è una produzione molto curata, persino a livello cromatico, ma ciò non serve a niente se poi la trama è pasticciata, piena di colpi di scena inutili che arriva persino a sfiorare il ridicolo involontario: tanto per dire, ciò che resta nella memoria dello spettatore è la scena delle anguille che escono dallo scarico del water!
E dire che invece altre scene di orrore sono ben fatte, puntano a paure ancestrali come l’annegamento, la rottura dei denti, la violenza (fortunatamente finta) sugli animali.
Anche il protagonista Dane De Haan sarebbe valido e in parte, all’inizio antipatico per esigenze di copione (è un borioso arrampicatore sociale che deve andare a recuperare il proprio boss, impazzito e fuggito in un’immacolata clinica svizzera che nasconde più di un segreto), che poi diventa vittima degli eventi e subisce, fa esperienza, cresce ma poi cade in un meccanismo ripetitivo facendosi più male di prima.
Il personaggio evolve ma non basta, viene sprecato perché gli si affiancano coprotagonisti poco realistici, come la ragazzina idiota che lo coinvolge in un tour soprannaturale o il villain telefonatissimo, che individui subito, e che sembra uscito dalla peggiore versione di “Frankenstein”.
In definitiva, sembra un’imitazione mal riuscita di “Shutter Island” di Scorsese virata sul gotico, ma che non sa dare i brividi che ad esempio trasmetteva “The Woman in Black” con Daniel Radcliffe.
Tutto già visto, finale imbarazzante e lunghezza eccessiva…provaci ancora Gore!