La cura dal benessere: la recensione di Luca_Falci
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La cura dal benessere: la recensione di Luca_Falci

La cura dal benessere: la recensione di Luca_Falci

Gore Verbinski ormai ha 53 anni, un Oscar sul caminetto e la pesante firma di regista della prima trilogia di “Pirati dei Caraibi”. Dietro casa ha un pozzo dalle acque scure da cui esce una tremenda ragazzina e, soprattutto, da qualche ha una stanza segreta.

Questa stanza segreta è fatta di libri accatastati, VHS smagnetizzate e DVD consumati di produzioni horror provenienti da tutto il mondo: dall’Oriente all’Occidente. Se in quei VHS e in quei DVD ha trovato Samara, portando così nella Hollywood dei remake e dei reboot l’horror giapponese, nei libri ha sicuramente un’antologia di H.P. Lovecraft.

Non si spiegherebbe in altro modo la realizzazione de “La Cura dal Benessere”: una deliziosa, inquietante e folle sorpresa passata un po’ in sordina in questi giorni negli schermi del bel Paese.
La premessa è delle più semplici: Lockhart, rampante squalo di Wall Street viene inviato dal Consiglio di Amministrazione della società in cui lavora in Svizzera a recuperare l’Amministratore Delegato della sua compagnia: costui non ha più fatto ritorno negli Stati Uniti da quando si è affidato ad una misteriosa “cura” che il dottor Heinrich Wolmer, eminente scienziato elvetico, somministra ai suoi pazienti: facoltosi anziani provenienti da tutto il mondo.

Ovviamente le cose in Europa si metteranno male per il Nostro Lockhart, che si troverà a fare i conti con la terrificante verità nascosta dietro la miracolosa cura e il panorama paradisiaco della casa di cura Wolmer immersa tra le monumentali vette delle Alpi Svizzere.
Una premessa semplice per una trama tutt’altro che semplice, fatta di squilibri mentali, sotterfugi e improbabili momenti di abbandono della realtà da parte dell’algido Dane DeHaan, più che a suo agio nei panni del protagonista.

Gore Verbinski rifiuta così allo spettatore il biglietto per il solito film-giostra e si impegna dal primo all’ultimo fotogramma ad instillare negli occhi e nella mente dello spettatore un omaggio contorto a tutta la tradizione horror di inizio ‘900 che vede proprio nel sopracitato H.P. Lovecraft il massimo esponente. La casa di cura Wolmer è un’ “isola” vera e propria di ignoranza immersa in neri mari d’infinito (citando e adattando l’incipit de “Il Richiamo di Cthulhu”) sotto la quale si nasconde un abisso di follia del quale si riprendono corridoi infiniti, immense vasche piene di un’acqua mai così sinistra e un personale e pazienti vestiti in pieno stile Belle Époque, tanto in contrasto coi “moderni” cittadini svizzeri o ancora con gli incravattati uomini seduti al tavolo ovale di Wall Street.

“La Cura dal Benessere” è una discesa nell’insania che mette in fila e schiaffeggia l’insensibile pubblico di millennials e amanti degli “spiegoni” (maleducazione ereditata da saghe da seguiti infiniti e da terrificanti serial-TV in cui lo spettatore deve sapere tutto) con un messaggio semplice quanto chiaro: l’orrore è inseparabile dall’uomo. Possiamo affrontarlo certo, ma da noi non si stacca. L’orrore non è tanto dettato dallo scienziato pazzo e dai suoi piani megalomani, né da eredità pagane che prevedono il perseguire certi rituali, quanto dall’ossessione del possedere e dalla solitudine.

Lockhart ha tutto quanto il suo stipendio a cinque zeri di prodigio di Wall Street gli può assicurare, ma dall’inizio alla fine del film viene fuori il ritratto di un uomo straordinariamente solo che si fa beffa, in un finale che suona come il più sonoro degli schiaffi che ci viene assestato dal regista statunitense, dello spettatore. Lo fa con un ghigno truculento e prolungato.

La cura dal benessere ha curato nelle sue due ore e trenta gli occhi di questo stanco spettatore, oltre che del nostro eroico protagonista.

Consigliato a chi vuole passare un po’ di tempo in qualche clinica: sperare che il soggiorno sia come quello di Lockhart (spaventoso certo, ma con costumi e panorami di gran classe) potrebbe giovare all’umore! 

Avete capito che è uno scherzo o necessitate uno “spiegone”?

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