È il 1993 e durante il ballo di fine anno della sua terza liceo Cameron viene sorpresa a fare sesso in auto con una sua amica. Per lei sarà la fine del mondo come l’ha conosciuto e l’inizio di un percorso di rieducazione, a cui la famiglia la costringe, all’interno di un centro religioso che dovrebbe “guarirla” dall’omosessualità.
È il 1993 ma non fosse per gli abiti grounge e per le canzoni che si intercettano ogni tanto alla radio potrebbe essere oggi, e la regista Desiree Akhavan gioca su questa ambiguità, costruendo un film che è un coming of age abbastanza tradizionale, dove gli adolescenti protagonisti devono fare i conti con le prime delusioni, le prime consapevolezze, i primi dubbi, le prime domande esistenziali.
Certo, per loro a complicare le cose c’è che sono stati dichiarati affetti da SSA, same sex attraction, e gli adulti che li circondano, basandosi sulla convinzione che l’omosessualità sia indotta da condizionamenti ambientali o traumi familiari, trattano il loro orientamento come una malattia. Ma il contesto, denunciato con intelligenza, non diventa mai la leva di una morbosa discesa agli inferi. La governante del centro, o il reverendo suo fratello, sedicente “ex gay”, non sono dipinti come mostri, ma come manipolatori psicologici vittime di un assurdo pensiero dominante e della loro stessa improvvisazione sul tema.
Preferendo l’ironia al pathos, la satira alle scene madri, la regista riesce nell’impresa di tradurre un romanzo complicato (da noi in uscita il 23 ottobre) in una dramedy ben bilanciata tra ironia e denuncia, sconcerto e disincanto.