Un uomo (Matthew McConaughey) vola in Giappone, poi si fa portare nei boschi intorno al Monte Fuji, il mare di alberi del titolo è una specie di foresta dei suicidi. Qui comincia a impasticcarsi, quando vede un uomo (Ken Watanabe) girovagare tra i sentieri e decide di soccorrerlo. Il film segue la conoscenza dei due, e mostra in flashback la storia dell’americano, il perché della depressione collegato alla relazione con la moglie (Naomi Watts).
Non è la prima volta che Gus Van Sant affronta il tema della morte. Lo ha già fatto con L’amore che resta, Paranoid Park, Elephant, ma in questo caso gli viene a mancare la grazia con cui sa tratteggiare adolescenza e giovinezza e il film deraglia tra banalità varie, riducendosi al racconto di un menage coniugale in crisi.
Purtroppo è tutto fragile e pretenzioso, e la stessa foresta diventa uno sfondo inerte e privo di suggestioni. McConaughey è sempre bravo ma ora sta andando fuori giri, vuole fare solo film-vetrina, cerca sempre la performance-madre, dovrebbe rilassarsi un po’. E poi i colpi di scena sono elementari, ci sono troppi finali e domina un misticismo che forse funzionava nel libro d’origine, ma qui è puerile. Sembra la classica sceneggiatura costruita per far colpo, quelle che le leggi e funziona tutto, poi le giri e non credi mai a un tubo.
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Mi piace: l’interpretazione di McConaughey, che però deve stare attento a non andare fuori giri.
Non mi piace: la pretenziosità della messa in scena.
Consigliato a chi: agli estimatori del cinema suggestivo e poetico di Gus Van Sant e a chi ama le storie sulle seconde opportunità.
VOTO: 2/5
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