La frode: la recensione di Matelda Giachi
telegram

La frode: la recensione di Matelda Giachi

La frode: la recensione di Matelda Giachi

La classica immagine del bravo padre di famiglia, che il giorno del suo 60° compleanno chiama a raccolta lo stuolo di nipotini intorno alla torta, perché da solo non riesce a spegnere tutte le candeline.
Tempo 10 minuti e la deliziosa e zuccherina maschera di Robert Miller (Richard Gere) si sgretola miseramente, prima attraverso la corsa a casa della giovane amante con 30 anni di meno (Laetitia Casta), offesa per l’eccessiva durata del brindisi familiare, e poi per via di due conticini nel proprio bilancio aziendale che non tornano proprio alla perfezione.
Sono passati non più di 25 minuti quando un incidente fa si che dai più grandi amori del Sig. Miller, denaro e sesso, nasca un problema abbastanza grande da richiedere l’ingresso in scena come oppositore di un detective della polizia (Tim Roth) e da trasformare una storia di (ahimé) ordinaria disonestà in un thriller.

“La frode” è il classico esempio di buon film sottovalutato.
La colpa è in parte da imputare alla metamorfosi che il titolo originale, “Arbitrage”, ha subito nell’attraversare l’oceano.
Succede spesso che chi si occupa di tradurre i titoli dei film di provenienza estera, non solo raramente riesca a trovare una soluzione accattivante, ma sia addirittura capace di traviare l’essenza della narrazione.
Vogliamo parlare dei film francesi che da noi, negli ultimi anni, sembrano essere improntati solo e soltanto sul tema dell’amicizia?

Il problema centrale del film non è tanto una questione di frode, quanto una questione, appunto, di arbitrio.
La trama si regge su di una serie di personaggi che ruotano intorno al protagonista e che sono tutti posti di fronte alla scelta tra verità e menzogna. Dalla decisione di ognuno dipende lo svolgersi della vicenda in una direzione o in un’altra, creando un delicato gioco di equilibri.
Equilibri che determinano l’instaurarsi di una tensione che non è mai estrema ma è costante, così da mantenere attento lo spettatore.

Robert Miller è un personaggio interessante: pur essendo una persona palesemente spregevole, non riesci mai a odiarlo fino in fondo; forse perché neanche i buoni giocano pulito nel perseguire il proprio fine, o forse perché speri fino alla fine che ci sia del buono in lui, e solo negli ultimi 5 minuti il disprezzo prende totalmente il sopravvento.

Quanto agli attori, un cast di belli e bravi.
L’interpretazione di Richard Gere è intensa e decisamente superiore a molte delle sue ultime performaces e il detective di Tim Roth è determinato e spregiudicato.

Vi è da dire che sono poco approfonditi i rapporti di Miller con personaggi che poi si rivelano fondamentali, quali la moglie (una sempre bellissima Susan Sarandon) e la figlia (Brit Marling).
Un non del tutto indifferente errore di superficialità.

Considerando che si tratta dell’esordio alla regia di Nicholas Jarecki, che è anche sceneggiatore, il brevissimo periodo di riprese e un cast originario che è stato totalmente stravolto, il risultato è molto migliore di quanto un trailer insipido e un titolo interessante quanto un catalogo di ferri da stiro, lascerebbero immaginare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA