Martedì sera passato in un cinematografo vecchio stampo.
Una di quelle sale, che riportano alla memoria vecchi ricordi ed emozioni, un cinema in cui le poltrone sono solo leggermente svasate, lo schermo relativamente piccolo, impregnato dell’odore di vita vissuta, di storia.
Non certo un multiplex.
Ma, visto e considerato che, il film era apprezzato dalla critica di tutto il mondo per il suo profondo contenuto intrinseco, valeva la pena, evitare di essere conformisti, fino in fondo e particolareggiare così anche la scelta del multisala, preferendone uno di nicchia.
Seduti, sulle relativamente comode poltrone blu la pellicola inizia il suo ciclo, ed ecco che si fanno largo sullo schermo le prime immagini de la Grande Bellezza.
Le inquadrature dei primi sette/dieci minuti mozzano il fiato.
E resto lì, imbambolata, ipnotizzata, con l’aspettativa che questo film possa davvero fare la differenza nel panorama cinamatografico italiano.
Taglienti primi piani vengono alternati da rapide carrellate sulla città di Roma, il tutto immerso in una musica corale mistica e trascendentale.
Ed ecco che è arrivata la fine della grande bellezza, alla prima, scurrilità, fuoriluogo e inadeguata al contesto che si era creato.
Ma, l’apparente calma, della città vissuta al mattino, viene subito spezzata dalla caotica e confusionale notte rumorosa, trash e volgare, in cui si ritrovano i “mondani”.
I dialoghi mantengono un profilo culturale molto alto per tutto il film, ad eccezione appunto, di alcune parole volgari, le uniche in grado di abbassare i toni intellettualistici dei personaggi protagonisti di questa storia.
Si passa quindi quasi incessantemente da un eccesso ad un altro ; tuttavia mantengo una fervente speranza che questo fosse in realtà l’obiettivo di Sorrentino e quindi gliene dò atto.
Per il resto il film risulta molto lento e paradossale in alcune sue parti e come al solito si rivela la manchevole capacità di catturare l’attenzione dello spettatore, che è una delle pecche principali del cinema italiano ; certo, questo è un classico film che pretende, esige d’essere etichettato come creativo, artistico e particolare, così tanto sopra le righe da richiamare quasi con obbligo il TITOLO supremo di film d’autore, ma dimenticando lo spettatore, che pur necessita di sentirsi parte della pellicola, che deve e vuole immedesimarsi nel personaggio, amarlo oppure odiarlo, ma provare qualcosa che va ben oltre lo sbadiglio del 30esimo minuto.
Lungo e sfiancante, 142 minuti di un continuo carnevale grottesco di feste barocche e cafone.
La grande bellezza non esiste, è tutta una grande tristezza.
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