2005. Michael Burry (Bale), manager di un fondo investimenti, si rende conto che il mercato immobiliare americano è molto meno stabile di quel che sembra ed è destinato a crollare entro pochi anni. Un impiegato (Gosling) della Deutsche Bank viene a sapere delle previsioni di Burry, indaga e ne comprende la veridicità. L’uomo allerta allora il trader Mark Baum (Carell) riguardo a quello che sta per succedere e lo convince ad unirsi a lui nella scommessa sul crollo del mercato immobiliare. Basandosi sul romanzo di Michael Lewis (Moneyball), McKay e il suo co-sceneggiatore Charles Randolph hanno messo in scena in maniera dettagliata gli eventi che portarono alla terribile crisi del 2008. Il film è pieno di invenzioni registiche ed è interpretato molto bene, ma ha il suo indubbio punto debole nella sceneggiatura: McKay sceglie di spiegare il tutto tramite fluviali dialoghi di natura economica, di indubbia attendibilità, ma di ben poca comprensibilità. Non che il film non si segua, ma alla lunga i dialoghi macchinosi, gli strambi esempi che vengono sfruttati per la spiegazione e questo marasma dialogico finisce per annoiare. Anche perché guardare La grande scommessa equivale più o meno a leggere una pagina di Wikipedia che talvolta riesce a strappare qualche sorriso. Il problema essenziale del film è il suo essere non-cinematografico: è documentaristico, preciso, puntiglioso (troppo), ma difetta di senso cinematografico, di pathos, di emozione (quell’emozione che pervadeva ad esempio Margin Call, il capolavoro di J.C. Chandor, in cui il crollo della borsa diventava tragedia umana). Qui ci sono solo parole, numeri, e ancora parole e numeri e lo spettatore, pur comprendendo il senso della vicenda, finisce per essere travolto e conseguentemente annoiato. E non bastano i siparietti (peraltro geniali) in cui Selena Gomez, Margot Robbie e Anthony Bourdain spiegano complessi concetti economici per rendere La grande scommessa appetibile o riuscito. Inoltre i personaggi non sono minimamente approfonditi: sono macchine che producono fluviali dialoghi incomprensibili anche allo spettatore più ben disposto, mancano di tridimensionalità e, se si esclude forse il personaggio di Baum (interpretato da uno Steve Carell in stato di grazia, senza dubbio il migliore tra i pur bravi interpreti), sono sostanzialmente personaggi inesistenti e piatti: il Michael Burry di Bale sfiora quasi la macchietta, sempre chiuso in ufficio a effettuare complesse operazioni economiche, immerso nella musica rock più dura. Non mancano le sequenze riuscite: i già citati siparietti, la partenza delle automobili da Las Vegas, ecc., ma La grande scommessa rimane un film superficialmente interessante, specie a livello puramente storico e teorico, ma assolutamente inesistente dal punto di vista cinematografico. Sicuramente è stata una scelta ponderata, ma purtroppo ci troviamo a non condividerla assolutamente. Una delusione inaspettata. Incomprensibili le molte nomination agli Oscar e, se si voleva nominare uno degli attori, toccava senza dubbio a Carell e non a Bale.
VOTO 5½